Dal processo negli USA che ha visto Google condannata per monopolio, è emerso da email riservate che Big G ridurrà del 40% i pagamenti agli editori australiani.
Il colosso di Mountain View si sta preparando a un possibile smembramento dopo la condanna per monopolio negli USA, e questo potrebbe essere solo l'inizio di una strategia futura di tagli globali.
In vista di un suo eventuale smembramento, richiesto dopo la condanna per monopolio negli USA, il gigante di Mountain View potrebbe ridurre del 40% i compensi agli editori (non solo quelli australiani)
Se ti stai chiedendo perché Google ha deciso di tagliare drasticamente i pagamenti agli editori australiani, mettiti comodo, perché la risposta è intricata e preoccupante. Ma soprattutto, questa storia potrebbe essere solo il primo capitolo di una saga ben più ampia.
Prima di entrare nei dettagli, ecco un breve riepilogo.
È emerso dalle carte processuali, relative al processo che ha visto Google condannata per monopolio ad agosto 2024, che Big G ha deciso di ridurre del 40% i pagamenti agli editori australiani, un colpo duro per un’industria già in difficoltà.
Questa non è solo una notizia legata alla situazione australiana e al contrasto tra il governo locale e Big G, tutt’altro! Molto probabilmente si tratta di una mossa preventiva in vista del possibile smembramento di Google, che rischia di perdere Android e Chrome.
Per questo la multinazionale starebbero correndo ai ripari, ma a farne le spese potrebbero essere utenti, editori e imprenditori che lavorano sul web (già scossi dagli effetti del core update di agosto 2024).
Ma vediamo dove e quando iniziò questa storia…
Il contrasto tra Australia e Google: quando tutto cominciò
Per comprendere le motivazioni dietro questa mossa, bisogna tornare al 2020, quando l’Australia sfidò Google.
Il governo australiano, con l’aiuto della sua Commissione per la Concorrenza e i Consumatori (ACCC), introdusse il News Media Bargaining Code, una legge progettata per affrontare lo squilibrio di potere tra le grandi piattaforme digitali, come Google e Facebook, e i siti di notizie.
Il codice richiede che queste piattaforme negozino in modo equo con gli editori per pagare l’uso dei contenuti giornalistici. Se non riescono a raggiungere un accordo, un arbitro nominato dal governo può imporre un pagamento.
Questa legge fu concepita per garantire agli editori un compenso adeguato per i contenuti che generano traffico e profitti per le piattaforme digitali, contribuendo così a sostenere il giornalismo e l’informazione pubblica.
L’iniziativa, come puoi intuire, indispettì molto i giganti dell’high-tech che non stettero a guardare…
Google per esempio reagì minacciando di ritirare il suo motore di ricerca dall’Australia! (Quando si dice “over-reaction”…).
Melanie Silva, capo di Google per Australia e Nuova Zelanda, affermò infatti:
“Se questa versione del codice diventasse legge, non avremmo altra scelta che smettere di rendere disponibile Google Search in Australia“.
Melanie Silva
Ovviamente, è quasi scontato dirlo, quello a essere minacciato non era il motore di ricerca, ma il monopolio di Google sulla pubblicità legata alla ricerca, che vale ben 238 miliardi di dollari (84,7 miliardi di dollari solo in questo secondo trimestre 2024).
Come finì questa storia?
Alla fine Google seppellì l’ascia di guerra e accettò di firmare accordi con i principali editori australiani, sborsando circa 200 milioni di dollari all’anno.
Storia conclusa, pensi? Eh no… Perché Big G, non ha affatto archiviato l’idea di pagare meno gli editori, tutt’altro! (Come se non bastasse già penalizzare i siti che non cedono i loro contenuti ad AI Overviews!)
Ciò risulta evidente leggendo le mail emerse durante il processo Antitrust negli USA in cui, come vedrai, volarono parole grosse…
Google e Samsung: un matrimonio tormentato
Nel novembre 2020, mentre il mondo lottava contro la pandemia, Google e Samsung gestivano un’emergenza diversa. Google aveva appena firmato un accordo miliardario con Samsung per diventare il motore di ricerca predefinito sui suoi dispositivi, per mantenere il dominio di Android.
Ma proprio mentre l’accordo con Samsung prendeva forma, l’Australia rovinò i piani di Big G, con il suo codice di contrattazione per i media (il News Media Bargaining Code di cui ti ho parlato prima), rischiando di far saltare il banco (e far perdere un sacco di soldi a Google).
Sai qual era la paura più grande di Google?
Che se avesse accettato di pagare gli editori australiani, si sarebbe aperto un pericoloso precedente: altri paesi avrebbero potuto chiedere lo stesso trattamento!
Le email interne, rese pubbliche il 28 agosto 2024, grazie a uno scoop di Ricky Sutton su Future Media- Substack, rivelano che Google scelse una terza via, forse la più rischiosa:
prepararsi a spegnere il motore di ricerca in Australia, ma senza informare Samsung!
Un progetto interno, chiamato “Samsung -1”, prevedeva infatti di bloccare l’accesso a Google Search per i 4,6 milioni di australiani possessori di dispositivi Samsung. In pratica, chi avesse provato a usare Google tramite il proprio telefono Samsung si sarebbe trovato davanti a un bel nulla di fatto.
Immagina la reazione di Samsung quando avrebbe scoperto tutto ciò…
Un quasi monopolio sotto assedio: le email segrete emerse dal processo
Il processo Antitrust che ha portato alla luce questi dettagli ha messo Google in una posizione davvero delicata.
Il merito (o demerito, direbbero a Mountain View) di questo scoop è principalmente di Leah Nylen, una giornalista di Bloomberg che in sede processuale ha contestato la decisione di tenere segrete le prove e ha ottenuto dal tribunale che venissero rese pubbliche.
Le email più scottanti trapelate agli organi di stampa si trovano tra milioni di pagine di carte, petabyte di dati e 3.500 prove raccolte in quattro anni di processo (per cui è stato un lavoro enorme orientarsi tra faldoni e faldoni di documenti e scovare le mail più rilevanti).
Stranamente, però, alcune email, proprio quelle che avrebbero destato più scalpore, scomparvero e poi riapparvero pesantemente modificate.
Per esempio, il 17 novembre 2020, il product manager di Google, Bryan Mao, inviò un’email ai colleghi, in cui faceva riferimento a un progetto interno chiamato “Samsung -1“.
Mao (attualmente manager di Mozilla) avvisava i colleghi della necessità di gestire con attenzione il rapporto con Samsung, soprattutto considerando il nuovo accordo appena firmato.
Mao scrisse: “Dobbiamo essere pronti a gestire le conseguenze di questa decisione. Non informeremo Samsung al momento“.
Nella discussione interna, Karen Diamond, all’epoca responsabile delle partnership di crescita di Google, intervenne per esprimere preoccupazione riguardo alla decisione di non informare Samsung, data l’importanza del partner sudcoreano per la strategia globale di Google.
Poco dopo, un alto dirigente di Google, Jeff Boortz, rispose consigliando di “mantenere il piano senza informare Samsung”, mentre il product lead di Google, Simon Tokumine, verso mezzanotte, suggerì di continuare con la strategia di bloccare l’accesso ai 4,6 milioni di australiani che utilizzavano dispositivi Samsung.
L’email di Mao fu confermata poche ore dopo, quando scrisse: “Il piano è confermato. Non informeremo Samsung e affronteremo eventuali conseguenze in seguito“.
Questa mossa avrebbe evidentemente avuto ripercussioni devastanti non solo per i consumatori, ma soprattutto per la società sud-coreana, che si sarebbe trovata a dover gestire un’improvvisa e inspiegabile interruzione del servizio.
Le tensioni tra Google e Samsung erano già elevate, e in tribunale sono state lette email interne tra i dirigenti di Samsung, che riflettevano preoccupazioni sempre più pressanti.
Per farti capire il livello dello scontro, un dirigente della multinazionale sudcoreana scrisse:
“Google sta chiaramente comprando il modo per soffocare i concorrenti… A parte una possibile azione antitrust, non vedo Samsung rifiutare questi termini.”
Quando un collega suggerì che l’antitrust avrebbe potuto portare Google ad allentare la presa, la risposta fu lapidaria:
“Anzi, esattamente il contrario. Google ha appena fatto un ‘f*ck you’ a Samsung!”
L’azienda sudcoreana però si rassegnò e cancellò un investimento di 650 milioni di dollari in un motore di ricerca concorrente, segno evidente dell’influenza che Google riusciva ancora a esercitare, nonostante le pressioni legali.
E anche questo sembra indicativo sull’egemonia di Big G nel settore tecnologico…
La condanna per monopolio di Google rischiano di pagarla gli utenti?
La vicenda tra Google, l’Australia e Samsung è un esempio lampante di come il potere delle grandi aziende tecnologiche possa influenzare non solo l’economia globale, ma anche la vita quotidiana di milioni di persone. E se pensi che questa sia solo una storia australiana, ripensaci.
Perché, secondo i ben informati, i tagli di Big G per editori e piccoli-medi siti web, non si fermeranno all’Australia…
A Mountain View infatti temono realmente lo smantellamento dei loro asset principali paventato dal Dipartimento di Giustizia USA, per cui occorre stare in guardia e aspettarsi contromisure anche sorprendenti.
Ma il sonno di Google non è tormentato solo da questioni legali e processuali, ha anche timore che il News Media Bargaining Code australiano possa essere copiato in altri paesi.
Se ciò accadesse Big G si troverebbe di fronte a una scelta: accettare di pagare o ritirarsi da quei mercati, esattamente come ha minacciato di fare in Australia. Anche se il bluff può funzionare una volta, la seconda mi sembra difficile…
Insomma, quello che mi pare chiaro è che Google si stia preparando agli scenari peggiori, riducendo i costi e rivedendo gli accordi con gli editori, (già intimoriti da un futuro a zero-click con AI Overviews).
In questo caso, perdona la brutalità, il rischio è che la condanna di Big G la paghino gli utenti e gli imprenditori che operano online!
Probabilmente i siti dovranno cercare nuove fonti di reddito, esplorare altre partnership e, forse, ripensare il loro rapporto con le Big Tech.
Una cosa è certa però: questa storia è tutt’altro che finita e la perdita di asset rilevanti di Google non è più un miraggio.
Da parte mia, come sempre, prometto di tenerti aggiornato su ogni novità a riguardo.
Takeaways
- Google ha deciso di ridurre del 40% i compensi agli editori australiani. Questa mossa, emersa durante il processo antitrust negli USA, rappresenta un duro colpo per un settore già in difficoltà e segnala una strategia di contenimento dei costi in vista di potenziali scenari futuri.
- Le recenti azioni di Google, compresi i tagli ai pagamenti, potrebbero essere legate al rischio di smembramento che il gigante tecnologico sta affrontando. Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha richiesto la cessione di asset chiave come Android e Chrome, costringendo Google a correre ai ripari.
- Il contrasto tra Google e il governo australiano iniziò con l’introduzione del News Media Bargaining Code nel 2020. Questa legge obbliga le piattaforme digitali a negoziare con gli editori per pagare l’uso dei contenuti giornalistici, creando un precedente che Google teme possa estendersi ad altri paesi.
- Per evitare che il codice australiano destabilizzasse i suoi affari globali, Google aveva pianificato di bloccare l’accesso a Google Search sui dispositivi Samsung in Australia senza informare il partner sudcoreano. Le email interne rivelano come Google fosse pronta a sacrificare relazioni importanti per proteggere il suo monopolio.
- La vicenda tra Google, l’Australia e Samsung potrebbe essere solo l’inizio di un cambiamento più ampio nel panorama tecnologico globale. Con il rischio di smembramento e nuove regolamentazioni in arrivo, Google sta rivedendo i suoi accordi e strategie, lasciando gli editori e altri partner a dover ripensare il loro rapporto con il gigante di Mountain View.
FAQ
Perché Google ha deciso di tagliare i pagamenti agli editori australiani?
Google ha deciso di ridurre del 40% i pagamenti agli editori australiani in vista di un possibile smembramento dopo la condanna per monopolio negli Stati Uniti. Questa mossa preventiva potrebbe influenzare non solo gli editori australiani ma anche altri editori a livello globale.
Qual è il ruolo del News Media Bargaining Code nella disputa tra Google e l’Australia?
Il News Media Bargaining Code è una legge australiana che richiede alle grandi piattaforme digitali di negoziare equamente con gli editori per pagare l’uso dei contenuti giornalistici. Google ha reagito minacciando di ritirare il suo motore di ricerca dall’Australia per proteggere il suo monopolio sulla pubblicità legata alla ricerca.
Come ha reagito Samsung ai piani di Google in Australia?
Le email interne di Google rivelano che l’azienda aveva pianificato di bloccare l’accesso a Google Search sui dispositivi Samsung in Australia senza informare Samsung. Questa decisione ha causato tensioni tra le due aziende, con Samsung che ha successivamente cancellato un investimento di 650 milioni di dollari in un motore di ricerca concorrente.