Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti punta a rompere il dominio di Google sul mercato dei browser, accusandolo di pratiche monopolistiche
📌 TAKE AWAYS
- Google potrebbe perdere Chrome, il browser dominante, aprendo il mercato a nuovi attori e riducendo il suo controllo sul traffico web.
- La vendita di Chrome potrebbe spingere il DOJ a chiedere anche la cessione di Android, sconvolgendo gli equilibri nel mercato mobile.
- Google rischia di perdere ricavi pubblicitari e il controllo sull’intelligenza artificiale, mentre emergono nuove opportunità per i contenuti premium.
Il Dipartimento di Giustizia USA punta a smantellare il monopolio di Google chiedendo la vendita di Chrome e forse Android, aprendo scenari che potrebbero rivoluzionare il web, il mobile e il mercato dell’intelligenza artificiale. Ma quali potrebbero essere le conseguenze per te?
Google senza Chrome. Sì, hai capito bene. Sembra strano come pensare a un’estate in Sardegna senza un tuffo in mare, eppure è uno scenario che potremmo presto vivere.
Inutile girarci intorno: il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DOJ) ha dichiarato guerra a Google, accusandolo di aver costruito e mantenuto per oltre un decennio un monopolio illegale. Al centro di questa disputa c’è Chrome, il browser che dal 2008 è diventato la chiave d’accesso principale al web per miliardi di persone.
Se lavori online o gestisci un business digitale, preparati: la vendita di Chrome è una possibilità concreta che potrebbe innescare un effetto domino capace di cambiare il modo in cui navighiamo, cerchiamo e, soprattutto, portiamo avanti il nostro lavoro sul web.
Ma come si è arrivati a questo punto?
Il DOJ contro Google: le proposte per spezzare il monopolio di Chrome
Partiamo dai numeri impressionanti di Chrome.
Con un 65,9% del mercato globale dei browser desktop e un 38,9% di quello mobile, Chrome è il punto di accesso privilegiato a internet per 3,45 miliardi di utenti.
Navigazione, ricerche, streaming su YouTube o gestione della posta con Gmail: tutto passa attraverso Chrome, diventato una macchina per convogliare traffico verso i servizi di Google e alimentare il colosso pubblicitario che rappresenta il cuore del business aziendale.
Ma c’è di più. Secondo il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DOJ), questa integrazione tra browser e servizi crea una barriera praticamente invalicabile per i concorrenti. I numeri parlano chiaro: nel terzo trimestre 2024 Google ha ricavato 88,268 miliardi di dollari, il 15% in più dell’anno precedente.
Il DOJ ha chiesto formalmente che Google venda Chrome, proponendo una serie di altre misure per spezzare il monopolio. Ma cosa prevede nel dettaglio il piano del DOJ per smantellare Google?
- Divieto di pagare aziende come Apple per impostare Google come motore di ricerca predefinito (oggi Apple riceve 20 miliardi di dollari all’anno da Google per questa partnership);
- Google sarebbe obbligata a condividere il suo enorme database di siti web con i concorrenti, rendendo più facile per nuovi motori di ricerca entrare nel mercato;
- Permettere agli editori di escludere i propri contenuti dai modelli di intelligenza artificiale di Google senza essere penalizzati nei risultati di ricerca.
Naturalmente, la risposta di Big G è arrivata subito e, com’era facilmente prevedibile, non è stata affatto tenera come puoi giudicare tu stesso.
Ma ora è legittimo chiedersi chi sarebbe in grado di acquisire Chrome…
La vendita di Chrome: chi potrebbe comprarlo?
Vendere Chrome non è come mettere in vendita un vecchio appartamento: stiamo parlando di un gigante digitale che, secondo Bloomberg, vale almeno 20 miliardi di dollari, con costi operativi annui stimati intorno ai 4 miliardi.
Tanto per fare un confronto, con appena 350 milioni di utenti, il browser Opera è stato venduto nel 2016 per 600 milioni di dollari. Chrome, con i suoi 3,45 miliardi di utenti, gioca in tutt’altro campionato.
Ma chi potrebbe permettersi di acquistarlo?
Prima di organizzarti con gli amici per mettere su una colletta e proporti come acquirente, ti dico chi sono i giganti contro cui dovresti lottare: Microsoft, Amazon e persino OpenAI. Mica male, no?
Microsoft, ad esempio, potrebbe vedere in Chrome l’opportunità di rafforzare Bing, il suo motore di ricerca. Tuttavia, ciò rischierebbe di ricreare un monopolio simile a quello che si cerca di smantellare oggi. E quindi si ripartirebbe da capo…
Amazon, dal canto suo, potrebbe utilizzare Chrome come un ponte verso il suo marketplace, trasformandolo in un portale privilegiato per il commercio online. Così facendo rafforzerebbe ulteriormente la sua posizione dominante nell’e-commerce, sollevando inevitabili dubbi antitrust.
E poi c’è OpenAI, che potrebbe sfruttare il browser per integrare i suoi strumenti di intelligenza artificiale ancora più profondamente, aprendo però nuovi interrogativi sulla gestione dei dati degli utenti.
C’è anche un’opzione più neutrale di cui ti voglio parlare: trasformare Chrome in una fondazione no-profit, seguendo il modello di Mozilla Firefox. Questa soluzione, suggerita da esperti di marketing digitale come Ari Paparo, potrebbe garantire un accesso più equo al mercato e ridurre i rischi di abuso dei dati. Sarebbe una scelta innovativa, ma non priva di ostacoli.
Finora ti ho parlato di Chrome, ma ti ricordo che il DOJ aveva chiesto la cessione anche di Android; non ti sarai mica scordato, vero?
Ma a rischiare c’è anche Android…
Android non è solo un sistema operativo: è la linfa vitale che alimenta il dominio di Google nel mondo mobile. Con una quota di mercato globale pari al 71% degli smartphone, è la piattaforma su cui si regge gran parte dell’esperienza digitale di miliardi di persone.
Ma c’è di più: Android non è un’isola, è strettamente intrecciato con Chrome, il browser preinstallato su ogni dispositivo Android. Ed è proprio questo collegamento che garantisce a Google un accesso privilegiato agli utenti, indirizzandoli verso i suoi servizi e consolidando ulteriormente il suo ecosistema.
Ora, immagina il terremoto se Android dovesse essere messo in discussione. Il Dipartimento di Giustizia non ha ancora chiesto esplicitamente la vendita di Android (per ora), ma ha proposto una supervisione governativa per assicurarne la neutralità, come puoi leggere tu stesso.
Ciò significherebbe impedire a Google di dare priorità ai propri prodotti o soffocare i concorrenti. Eppure, se queste misure non dovessero funzionare, il DOJ potrebbe spingersi oltre, chiedendo una separazione forzata: la vendita di Android (te ne parlavo già qui).
Le implicazioni sarebbero enormi. Android non è solo software, è il collante che tiene insieme produttori di dispositivi come Samsung, Xiaomi e Oppo, sviluppatori di app e un’enorme base di utenti.
Una sua vendita romperebbe equilibri consolidati, creando uno scenario di incertezza per l’intero settore mobile. Per Google, perdere Android significherebbe sacrificare un canale vitale per spingere i suoi servizi e raccogliere dati. Per i concorrenti, però, potrebbe essere l’occasione che aspettavano per competere su un campo finalmente più aperto.
Il destino di Android è, quindi, più che mai legato a quello di Chrome. Qualsiasi decisione del DOJ su una delle due piattaforme avrà inevitabilmente ripercussioni sull’altra, e l’esito potrebbe riscrivere le regole del gioco per l’intero mercato mobile.
Quale sarebbe l’impatto per Big G (e chi ci guadagnerebbe)
La ricerca non è solo una parte del business di Big G, è il suo cuore.
Google è praticamente sinonimo di “cercare su internet”. Questo predominio si traduce in cifre impressionanti: ben 238 miliardi di dollari generati dalla pubblicità legata alle ricerche, una delle principali fonti di entrate della holding Alphabet.
Ma ora veniamo alla domanda delle domande: cosa accadrebbe se Google perdesse Chrome?
Il browser non è solo uno strumento per navigare: è una delle principali vie attraverso cui gli utenti accedono alla Ricerca. Senza il suo controllo diretto su Chrome, Google rischierebbe di vedere diminuire drasticamente il traffico verso il suo motore di ricerca, rendendo più difficile mantenere la sua posizione dominante.
Pensi che sia finita qui? Eh no, il DOJ vorrebbe vietare a Big G di pagare per essere impostato come motore di ricerca predefinito su dispositivi come gli iPhone, un accordo che attualmente costa a Google oltre 20 miliardi di dollari all’anno solo per Apple.
Questa misura potrebbe aprire le porte a concorrenti come DuckDuckGo, che ha già beneficiato di politiche simili in Europa. Considera che dopo che l’Unione Europea ha imposto a Chrome di offrire alternative, DuckDuckGo ha registrato un aumento del 75% nelle ricerche, come riporta TechCrunch.
E invece riguardo alle IA? Ho tenuto il pezzo forte per la fine dell’articolo, ecco cosa chiede il DOJ.
L’intelligenza artificiale nel mirino del DOJ
Il Dipartimento di Giustizia (DOJ) vuole mettere i publisher al centro del gioco digitale, dando loro finalmente il controllo sui propri contenuti, specialmente dopo la condanna di Big per monopolio del 5 agosto 2024.
La proposta è chiara: gli editori devono poter scegliere di escludersi dall’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale senza subire penalizzazioni, come la perdita di visibilità nei risultati di ricerca.
Immagina cosa significherebbe questo: non più contenuti sfruttati senza consenso, ma una nuova era in cui i creatori di contenuti diventano protagonisti attivi, trasformando ciò che oggi rappresenta una perdita in un’opportunità economica.
Un esempio concreto? News Corp, che ha già siglato un accordo da 250 milioni di dollari con OpenAI per permettere l’utilizzo dei suoi contenuti nei modelli IA.
Se questa strada venisse percorsa, si aprirebbe un mercato del tutto nuovo per i contenuti premium, dove gli editori potrebbero finalmente monetizzare il proprio lavoro in modo diretto e strategico.
Come puoi intuire, per Google questa prospettiva è tutt’altro che rosea: dover pagare per accedere ai contenuti fondamentali per il funzionamento della sua IA significherebbe affrontare costi più alti e, soprattutto, esporsi maggiormente alla concorrenza.
Perché dobbiamo guardare oltre i soliti canali
Ad aprile 2025 inizieranno le udienze decisive contro Google, con una sentenza attesa per settembre.
Ma non pensare che tutto si risolverà in pochi mesi: Google ha già fatto sapere che farà appello, e questa battaglia potrebbe trascinarsi per anni. Per chi lavora online, però, aspettare non è un’opzione.
Diversificare le fonti di traffico e monitorare ogni sviluppo con attenzione potrebbe fare la differenza tra restare al passo o sprofondare.
Qui entra in scena una verità scomoda, ma essenziale: la maggior parte degli imprenditori continua a investire il grosso del proprio budget in ads, su Google e Meta.
E no, non perché sia la scelta più strategica, ma perché è la più comoda, come rileva correttamente l’esperto di marketing digitale Rand Fishkin.
Ma quanto costa, davvero, questa “comodità”? Le abitudini dei clienti sono molto più complesse e le loro decisioni nascono in tanti luoghi diversi, molti dei quali non compaiono mai nei piani di budget.
Ecco il problema: i soldi vanno sempre agli stessi canali, ma il pubblico, in realtà, è altrove.
Continuare a buttare risorse nei soliti posti, sperando che basti per rimanere rilevanti, non è più una strategia. È ora di guardare in faccia la realtà e chiederti: sto davvero raggiungendo le persone dove conta di più? O mi sto limitando alla strada più facile, quella che tutti seguono?
La lezione è chiara: il futuro appartiene a chi ha il coraggio di cambiare rotta.
Esplorare canali alternativi, costruire contenuti che creino connessioni autentiche, andare oltre le solite piattaforme: è qui che si gioca il vero vantaggio competitivo. Gli ads su Google e la pubblicità su Facebook non sono gli unici strumenti a disposizione, e di certo non sono sempre i migliori, specie senza digital PR. Serve visione, dati e la capacità di fare scelte più audaci, come ti ho scritto qui.
E allora fermati un attimo a riflettere e punta su una strategia SEO a lungo termine, capace di costruire un posizionamento solido e duraturo per il tuo business, perché il 2025 sarà un anno di svolta.
Ricordi come cantava Lucio Dalla ne L’anno che verrà?
“Io mi sto preparando, è questa la novità…”. Ecco fai come Lucio, fatti trovare pronto! Scrivimi qui.
Che succede se Google perde Chrome: Domande & Risposte
Che succede se Google perde Chrome?
Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha avviato una causa contro Google, accusandolo di monopolio e proponendo la vendita di Chrome per spezzare il suo dominio sui browser. Se ciò accadesse, il panorama digitale potrebbe cambiare drasticamente.
Qual è il valore di Chrome e chi potrebbe comprarlo?
Chrome è valutato almeno 20 miliardi di dollari, con costi operativi di 4 miliardi annui. Tra i potenziali acquirenti ci sono Microsoft, Amazon e OpenAI, ma ciascun acquirente solleva dubbi antitrust.
Quali sarebbero le conseguenze per Android?
Android, strettamente legato a Chrome, potrebbe anch’esso essere messo in discussione. Una possibile vendita di Android romperebbe l’ecosistema Google e aprirebbe il mercato mobile a una maggiore concorrenza.