L’indicazione arriva direttamente da John Mueller durante il Search Central Live di Madrid 2025: criteri più severi contro l’abuso di IA e altre tecniche di produzione automatica su larga scala
📌 TAKE AWAYS
- I Quality Rater di Google hanno ricevuto l’istruzione di valutare con il punteggio più basso (“Lowest”) quei contenuti generati automaticamente o con IA che non offrono un contributo originale.
- Big G ha aggiornato le pratiche di spam includendo l’uso seriale e industriale dell’IA per produrre pagine in massa, spesso con variazioni minime.
- L’IA non viene demonizzata: può essere uno strumento potente, ma va integrata con cura, competenza e spirito critico. L’editing, il giudizio umano, la capacità narrativa e la prospettiva personale restano le chiavi per superare l’anonimato digitale e ottenere visibilità duratura.
Al Search Central Live di Madrid, il 9 aprile 2025, John Mueller di Google ha annunciato criteri più severi contro l’abuso di IA nei contenuti.
I Quality Rater valuteranno "Lowest" le pagine senza valore aggiunto.
La notizia è rimbalzata dagli schermi del Search Central Live di Madrid del 9 aprile 2025, un evento per addetti ai lavori dove Google, ogni tanto, sgancia qualche bomba.
A riportarla è stata Aleyda Solis, una figura piuttosto nota nel mondo SEO, citando nientemeno che John Mueller, Senior Search Analyst e volto noto del Search Relations team di Google.
Il messaggio, neanche troppo velato, è questo: i Quality Rater di Google – quelle persone in carne e ossa che valutano la qualità delle pagine web per aiutare Big G a migliorare i suoi algoritmi – hanno ricevuto istruzioni precise.
Devono identificare i contenuti principali di una pagina (“Main Content”, MC, nel gergo tecnico) creati con strumenti automatici o di IA generativa.
E se li trovano?
Beh, potrebbero appioppare la valutazione peggiore possibile: “Lowest”.
La più bassa. Il cartellino rosso.
Questo cambio di rotta non è campato in aria, ma fa parte dell’aggiornamento di gennaio 2025 delle Search Quality Rater Guidelines (SQRG), un documento che, anche se non influenza direttamente il ranking, dice molto su cosa Google considera “qualità”.
E fidati, quello che piace ai Quality Rater, prima o poi, piace anche agli algoritmi made in Mountain View.
Ma facciamo un passo indietro: chi sono questi Quality Rater?
Immaginali come dei detective, assunti da Google in tutto il mondo (si parla di oltre 10.000 persone), che navigano sul web seguendo delle linee guida molto dettagliate (un malloppo di 181 pagine!) per valutare se le pagine che Google propone rispondono davvero alle esigenze degli utenti.
Non decidono loro il ranking, certo, ma il loro feedback è oro colato per gli ingegneri che sviluppano e affinano gli algoritmi di ricerca.
La crociata di Big G contro la catena di montaggio di contenuti
Prima di tutto, Google ha messo nero su bianco una definizione di Intelligenza Artificiale Generativa.
La definisce uno “strumento utile”, ma – e qui si accende una bella spia rossa – uno strumento di cui si può anche “abusare”.
Un modo elegante per dire: “Sappiamo cosa state facendo”.
Ma il vero terremoto arriva nella sezione dedicata allo spam.
La vecchia sezione sul contenuto auto-generato è stata fatta sparire e sostituita da un approccio molto più severo come ha scritto Danny Goodwin qui.
Preparati, perché tutto ciò inciderà sul tuo lavoro quotidiano.
Prima di tutto, c’è l’Abuso di Contenuti su Larga Scala.
Immagina una vera e propria catena di montaggio: l’obiettivo qui non è creare un singolo pezzo di qualità, ma inondare il web con centinaia o migliaia di pagine generate automaticamente, spesso usando l’IA. Il tratto distintivo è la serialità e la mancanza di cura.
Pensa a quei siti che creano una pagina per ogni comune d’Italia per lo stesso servizio, cambiando solo il nome della località nel testo generato da un’IA, senza aggiungere informazioni locali reali. Oppure a blog che pubblicano decine di articoli al giorno su argomenti di tendenza, rielaborando all’infinito le stesse fonti con l’IA, senza editing, verifica o un briciolo di originalità.
Lo scopo?
Non aiutare te che cerchi, ma saturare Google sperando di catturare traffico per pura quantità.
Google considera questa pratica spam perché riempie i risultati di contenuti ridondanti e di scarso valore, manipolando il sistema. È il volantinaggio selvaggio del web, e ora Google ha affilato le armi per contrastarlo.
Poi c’è l’altra categoria, forse ancora più insidiosa perché riguarda anche la singola pagina.
Qui non conta la quantità, ma la qualità intrinseca (o meglio, la sua assenza) del contenuto che offri.
Ed è proprio qui che John Mueller ha puntato il dito:
La valutazione Lowest si applica se tutto o quasi tutto il Contenuto Principale sulla pagina (inclusi testo, immagini, audio, video, ecc.) è copiato, parafrasato, incorporato, generato automaticamente o tramite IA, o ripubblicato da altre fonti con poco o nessuno sforzo, poca o nessuna originalità, e poco o nessun valore aggiunto per i visitatori del sito web. Tali pagine dovrebbero essere valutate Lowest, anche se la pagina attribuisce la citazione a un’altra fonte.
John Mueller
Hai letto bene l’ultima frase?
Questo è il punto che fa la differenza.
Anche se citi la fonte, ma il tuo contenuto è solo un copia-incolla, una parafrasi fatta da un bot che non aggiunge nulla di significativo, o una semplice ripubblicazione senza il tuo apporto critico o esperienziale, rischi il massimo della pena: la valutazione “Lowest”.
Cosa cerca Google, allora?
Cerca quel famoso “valore aggiunto“, quella scintilla che solo tu puoi dare:
- La tua analisi originale, il tuo punto di vista esperto;
- Dati inediti o ricerche personali;
- Esperienze dirette che illustrano l’argomento;
- Una sintesi intelligente che crea nuova comprensione;
- Una curatela che contestualizza e aggiunge significato.
Cosa invece non è valore aggiunto e ti mette a rischio?
- Usare un tool AI per “riscrivere” un articolo esistente senza metterci mano;
- Riassumere banalmente Wikipedia o un’altra fonte;
- Incorporare video o post social senza un commento o un contesto originale tuo.
Citare le fonti è corretto, ma non ti salva, mi spiace!
Google vuole premiare l’originalità e lo sforzo genuino nel creare qualcosa di utile per l’utente, non la semplice riproposizione (automatizzata o meno) di ciò che già esiste.
Il messaggio è inequivocabile: o crei valore reale, o rischi di finire dietro la lavagna, tra i contenuti “Lowest”.
Ok, ma chi decide chi penalizzare un sito piuttosto che un altro?
Come fa un Quality Rater a sapere se ho usato l’IA?
Bella domanda. Le linee guida non svelano il mistero: a quanto sappiamo non viene utilizzato un “IA detector”, tipo quello per trovare le monetine in spiaggia…
Però, danno degli indizi piuttosto chiari, soprattutto quando si parla di contenuti parafrasati (che, guarda caso, è uno degli usi più comuni e abusati dell’IA generativa):
- il contenuto riporta solo informazioni banali o fatti universalmente noti (del tipo “Roma è una città”. Praticamente tutto ciò che istintivamente ti fa dire: “ma dai, davvero?”);
- c’è una forte sovrapposizione con fonti autorevoli come Wikipedia o siti di riferimento? (Segno che potresti aver “chiesto” all’IA di riassumere quelle fonti);
- il testo sembra riassumere una pagina specifica (tipo una discussione su un forum o un articolo di news) senza aggiungere alcun punto di vista originale o valore?;
- ci sono indizi linguistici che tradiscono l’uso di strumenti di parafrasi o IA, come l’onnipresente aggettivo “cruciale” o peggio frasi tipo “Spero che il contenuto soddisfi la tua richiesta”! (Sì, c’è chi se la dimentica nel testo!).
Insomma, non cercano il “codice sorgente” dell’IA, ma valutano se il risultato finale puzza di artificiale, di poco sforzo, di mancanza di quella scintilla umana che, per brevità, chiamiamo originalità e competenza.
Ma allora tutta l’IA è da buttare?
Google introduce una distinzione più netta tra valutazione “Low” (Bassa) e “Lowest” (Bassissima).
Intendiamoci, non tutto ciò che è realizzato con l’aiuto dell’IA finisce automaticamente nell’inferno del ranking (puoi tirare un sospiro di sollievo!).
La differenza sta nello sforzo e nel valore aggiunto.
Ti spiego meglio.
Lowest significa che tutto il contenuto è copiato/parafrasato/generato automaticamente senza sforzo né valore aggiunto. È fuffa, punto.
Low invece vuol dire che una parte del contenuto è riutilizzata, ma c’è almeno uno sforzo minimo per curarlo, modificarlo, aggiungere qualcosa di utile.
Esempi di contenuti che potrebbero ricevere un “Low” invece di “Lowest”?
Post social ripubblicati con un minimo di commento o discussione aggiuntiva, pagine con video incorporati ma con un contesto o una curatela fornita dal creatore della pagina, classifiche “migliori di” che non si limitano a copiare recensioni esistenti ma aggiungono un minimo di analisi originale.
Il messaggio è chiaro: Google non demonizza lo strumento in sé, (e ci mancherebbe altro!) ma l’uso pigro e svogliato che se ne fa.
La rete è sempre più satura di contenuti. La maggior parte non proprio vitali, per usare un eufemismo.
Pensa al web come a un pianeta sovrappopolato e a Big G come un governante che lancia una campagna di contraccezione (o castità, a seconda delle tendenze politico-religiose…).
I più maliziosi possono vederci anche un intento “eugenetico”: selezionare solo contenuti migliori e penalizzare articoli “inutili”. Ok, messa così forse è un po’ troppo spietata.
Una cosa però mi sembra chiara:
A Mountain View si vorrebbero privilegiare contenuti che, anche se aiutati dalla tecnologia, dimostrino impegno umano, cura e un reale tentativo di essere utili all’utente.
Non solo IA: occhio al “filler” e alle vanterie!
Le novità non finiscono qui. Google ha introdotto anche il concetto di “Filler Content”: contenuto riempitivo, di basso sforzo e bassa rilevanza, che magari occupa tanto spazio sulla pagina ma non aiuta l’utente.
Pensa a introduzioni generiche lunghissime, paragrafi gonfiati di parole inutili, blocchi di testo che sembrano messi lì solo per allungare la pagina e magari infilarci qualche pubblicità in più, come nota bene la SEO Marie Haynes.
Questo tipo di contenuto, anche se non dannoso, può far guadagnare un “Low” perché rende più difficile per l’utente trovare le informazioni utili. Google vuole sostanza, non aria fritta.
E c’è un’altra stretta di vite interessante: quella sulle affermazioni esagerate o leggermente fuorvianti sul creatore del contenuto o sul sito.
Dichiarare il falso spudoratamente porta dritto a “Lowest”.
Ma attenzione: anche gonfiare un po’ troppo le proprie credenziali, millantare esperienze o competenze che non si possono dimostrare concretamente (“Sono il massimo esperto mondiale di X!”), ora può bastare per un “Low”.
Insomma: tempi duri per i mitomani di ogni ordine e grado!
Google chiede ai suoi Rater di basare la valutazione E-E-A-T (Esperienza, Competenza, Autorevolezza, Affidabilità – il mantra della qualità secondo Google) su prove concrete trovate nel contenuto e attraverso ricerche esterne sulla reputazione, non sulle auto-celebrazioni.
Se le tue qualifiche sembrano più marketing che sostanza, sei avvisato.
La creatività rimane insostituibile dall’IA (per adesso)
Ok, sgombriamo subito il campo dagli equivoci:
“Ma allora, se l’IA è così sotto osservazione, devo tornare a scrivere tutto a mano come un monaco amanuense?”
Calma, non esagerare.
Il cambiamento che ha portato l’IA nella scrittura è stato enorme, lo sai bene.
L’impatto ricorda quello che ha avuto la computer grafica (CGI) nel cinema.
Pensa a un film di fantascienza di vent’anni fa: la differenza con quelli attuali si nota, no?
Però, a dirtela tutta, in un’era pre-tecnologica, gli “artigiani” del cinema, regista, scenografi, fino alle maestranze, erano sicuramente più creativi, riuscivano a ingegnarsi e trovare soluzioni incredibili, anche caserecce, per sopperire alla mancanza di mezzi tecnici.
Ecco, forse l’IA ha impigrito quella capacità di sapersi arrangiare e “fare le nozze coi fichi secchi”, ma questo è solo un mio dubbio…
Gli LLM (Large Language Models, i motori dietro a ChatGPT & Co.) ci danno accesso istantaneo a un’infinità di idee, stili, informazioni. Sarebbe sciocco non approfittarne, non c’è nessuna medaglia al valore nel fare le cose nel modo più faticoso.
Senza un editing attento, però, senza quel tocco che solo tu puoi dare, il contenuto generato dall’IA rischia di essere piatto, sterile, impersonale. Rumore di fondo, appunto. Magari grammaticalmente impeccabile, ma privo di anima, come certi effetti speciali patinati, fin troppo perfettini.
Pensa a quelle cose che un’IA, per quanto sofisticata, non può replicare (almeno per ora): la capacità di cogliere sfumature e pattern sottili che risuonano con l’esperienza umana condivisa; l’intuito su cosa troveranno davvero interessante i tuoi lettori; le storie personali, le esperienze vissute che danno colore e credibilità; il giudizio morale e critico che va oltre le linee guida programmate; il gusto stilistico, quella firma unica che rende il tuo brand riconoscibile; la capacità di descrivere sensazioni, odori, sapori (la ricchezza sensoriale della vita); e, non da ultimo, quegli “insight” o dati che l’IA non conosce perché non facevano parte del suo training.
L’IA, come scrive Kevin Indig, autorevole SEO e marketer, può fare l’80% del lavoro “tecnico”, ma quel 20% fondamentale – la tua prospettiva, la tua storia, la tua comprensione culturale, la tua capacità di emozionare – quello spetta ancora a te.
Ed è proprio quel 20% che fa la differenza tra un contenuto che Google bolla come “Lowest” e uno che invece cattura l’attenzione, fidelizza il cliente e, sì, fa anche vendere.
Tra IA e creatività umana: il nuovo equilibrio che serve
Cosa ci portiamo a casa da tutto questo discorso?
Che il vento è cambiato.
Google, attraverso le sue linee guida per i Quality Rater, sta mandando un segnale forte e chiaro: la pacchia della produzione di contenuti a bassissimo costo e zero sforzo, affidata ciecamente all’IA, sta finendo.
Per te, imprenditore che affidi al web la visibilità e il successo del tuo business, questo significa una cosa: la qualità non è più negoziabile.
E per “qualità” Google intende sempre più contenuti che dimostrino esperienza reale, competenza approfondita, autorevolezza costruita nel tempo e affidabilità a prova di fact-checking (il famoso E-E-A-T).
Contenuti che siano originali, curati, che aggiungano valore vero per l’utente, che rispondano alle sue domande in modo completo e soddisfacente, e che non cerchino di ingannarlo con titoli clickbait, informazioni gonfiate o design fuorvianti.
Sì, perché Google non penalizza chi usa IA, ma chi produce lavoro scadente!
L’IA può essere un’alleata preziosa in questo processo, ma non può sostituire il pensiero critico, la creatività, l’empatia e l’esperienza umana.
Usarla come punto di partenza, come assistente per la ricerca o per superare la pagina bianca va benissimo. Affidarle l’intero processo, sperando che nessuno se ne accorga, è diventato un rischio troppo grande.
La sfida, ora, è trovare il giusto equilibrio.
Sfruttare la potenza della tecnologia senza sacrificare l’autenticità e il valore umano. E per farlo, diciamocelo, serve competenza. Serve una strategia. Serve qualcuno che conosca le regole del gioco, che sappia come creare contenuti che piacciano sia agli algoritmi (sempre più sofisticati) sia alle persone (sempre più esigenti).
Qualcuno che sappia “mixare” al meglio le potenzialità dell’IA con l’insostituibile intelligenza umana. Insomma, serve un esperto SEO che non si limiti a guardare le keyword, ma che abbia una visione d’insieme sulla qualità, sulla strategia di contenuto e sul futuro della ricerca online.
Perché restare visibili e rilevanti, oggi più che mai, richiede un lavoro da professionisti.
Non trovi?
Non indugiare oltre, scrivimi qui.
Google penalizzerà più severamente chi abusa dell’IA generativa: Domande & Risposte
Google penalizza tutti i contenuti generati con l’intelligenza artificiale?
No, Google non penalizza automaticamente tutti i contenuti generati con IA. Tuttavia, se il contenuto è realizzato senza valore aggiunto, originalità o sforzo umano – ad esempio tramite parafrasi automatica o copia da altre fonti – può essere valutato come “Lowest”, ovvero la qualità più bassa secondo i Quality Rater.
Cosa significa “Abuso di Contenuti su Larga Scala” secondo Google?
Significa la creazione massiva di pagine web generate automaticamente, spesso cambiando solo piccoli dettagli, con l’obiettivo di manipolare i motori di ricerca e ottenere traffico. Google considera questa pratica spam perché produce contenuti ridondanti e di scarso valore per l’utente.
Qual è la differenza tra valutazione “Low” e “Lowest”?
La valutazione “Lowest” viene data a contenuti generati automaticamente o copiati che non offrono alcun contributo originale o utile. “Low”, invece, può essere assegnata a contenuti che riutilizzano in parte materiale esistente, ma che includono almeno un minimo di sforzo editoriale o valore aggiunto per l’utente.
Spero che i miei articoli non finiscano tra i “Lowest”! 😅
“Addio fuffa, benvenuta sostanza!”
Ma dai, questa mossa di Google è interessante! È ora di tornare a scrivere contenuti con un po’ di anima. Ho sempre pensato che l’IA fosse un aiuto, ma non può sostituirci! Tu cosa ne pensi, Roberto?
“Finalmente, un po’ di qualità! Spero di non finire nei ‘Lowest’!”