Elizabeth Reid di Google chiarisce la visione di Big G: anche con l’introduzione delle AI Overviews, l’intento è restare fedeli alla missione originaria del motore di ricerca, offrendo risposte verificate e approfondimenti
📌 TAKE AWAYS
- L’obiettivo di Google, anche con l’introduzione delle AI Overviews, resta quello di organizzare le informazioni in modo attendibile, e non quello di sostituirsi a un assistente conversazionale stile ChatGPT.
- I motori IA (da ChatGPT a Gemini) privilegiano nelle loro risposte contenuti che offrono dati, confronti e specifiche. Secondo uno studio basato su 768.000 citazioni, tra il 46% e il 70% dei contenuti richiamati riguardano prodotti e servizi: pagine prodotto, articoli comparativi e guide all’acquisto.
- Le AI Overviews stanno modificando radicalmente il comportamento degli utenti: i link tradizionali finiscono in fondo alla pagina, con cali di CTR fino al 70%. Tuttavia, nei settori professionali e B2B, gli utenti mostrano un atteggiamento critico verso le risposte IA e cliccano sulle fonti per verificare.
Google non vuole diventare un chatbot: con le AI Overviews punta a offrire risposte sintetiche, verificate e utili, senza rinunciare alla sua missione informativa.
Per essere visibili nell’era IA, servono contenuti autorevoli, concreti e ottimizzati per essere citati direttamente dai motori di risposta.
Sei nel tuo ufficio, forse hai appena finito di litigare con una fattura o di rispondere all’ennesima email urgente. Hai bisogno di informazioni precise, veloci, affidabili.
Cosa fai?
Apri Google, probabilmente.
Ma cosa succederebbe se, invece dei soliti link blu, ti trovassi davanti un assistente virtuale fin troppo loquace, pronto a intavolare una conversazione empatica sui massimi sistemi, quando tu cercavi solo una risposta breve e concisa?
Ecco, Elizabeth Reid, Capo della Ricerca di Big G, è stata chiarissima:
questo non è l’obiettivo di Google (nonostante gli esperimenti con Google AI Mode lasciassero presagire il contrario).
Reid, intervistata da Melissa Heikkilä sul Financial Times, è apparsa decisa.
Mentre strumenti come ChatGPT, Claude o Perplexity puntano a simulare una conversazione, a creare un’intelligenza “personificata” che risponde con tono amichevole, creativo, a volte persino un po’ ruffiano, Google Search, anche con AI Overviews, vuole rimanere fedele alla sua missione originale:
organizzare le informazioni e renderle universalmente accessibili e utili.
Capisci la differenza?
Non è una sfumatura da poco. Google, forte dei suoi 5 trilioni di ricerche all’anno, non sta costruendo un compagno di chiacchiere, ma uno strumento informativo più potente.
Quando vedi un AIO, quel riassunto generato dall’IA che appare in cima ad alcuni risultati di ricerca, l’idea non è quella di darti la risposta definitiva e mandarti via, ma, secondo Google, di offrirti un punto di partenza, una sintesi utile, corredata da link (le famose “citazioni”) per approfondire.
“Non sono progettati per essere un prodotto autonomo”, insiste Reid per tranquillizzare publisher e proprietari di siti web.
“Sono progettati per farti iniziare e poi aiutarti ad andare più a fondo”.
La parola d’ordine in questo caso è factuality (veridicità, accuratezza, aderenza ai fatti).
Mentre i chatbot generalisti a volte possono sacrificare la precisione sull’altare della fluidità conversazionale o della creatività (ricordi le “allucinazioni” dell’IA?), Google dichiara di puntare tutto sull’affidabilità, basando le risposte su contenuti web di qualità e mostrando le fonti.
Reid, ha ammesso ammettendo che qualche scivolone c’è stato (chi non ricorda il consiglio di “mangiare sassi per prevenire i calcoli”?).
Un “caso d’uso estremamente ridotto”, ha minimizzato la dirigente di Big G, ma che ha fatto il giro del mondo.
Ma queste rassicurazioni di Big G basteranno a placare le polemiche di molti analisti?
Voci fuori dal coro e dubbi amletici
Il quadretto dipinto dalla Reid parrebbe idilliaco, no?
Google paladino dell’informazione verificata, che usa l’IA per aiutarci a navigare nel caos del web.
Peccato che non tutti la vedano proprio così.
Prendiamo Joanna Stern, giornalista tech del Wall Street Journal.
Lei, senza troppi giri di parole, ha scritto di aver rinunciato alla ricerca tradizionale, perché non ne poteva più di clickbait, link sponsorizzati e testi scritti per gli algoritmi e non per gli utenti.
La giornalista sostiene che per molte ricerche (shopping, ricette, consigli, biografie) chatbot come ChatGPT (sempre più diffuso, nonostante i problemi con i server), Perplexity o Claude le danno risposte più chiare e dirette, risparmiandole la “maratona di click” tra risultati inutili.
Certo, Stern ammette che Google resta superiore per trovare pagine web specifiche che già conosci o per informazioni locali precise (mappe, orari), ma rimane convinta della sua scelta.
Ti ho voluto citare quest’opinione, seppur autorevole, pur sempre soggettiva, perché credo sia simile a quella di molti utenti (magari anche alla tua).
Anche se, a dirtela tutta, l’esperienza utente su Google, si era deteriorata ben prima dell’arrivo massiccio dell’IA, come ti scrivevo già qui.
Ora va di moda dire che l’intelligenza artificiale ha deturpato un ecosistema celestiale, pieno di contenuti originali e utili, ma non è che si stesse meglio quando si stava peggio…
Tutt’altro! Diciamo che le IA hanno reso la produzione in serie di contenuti non utili solo più copiosa, evidenziando un problema di saturazione del web già noto da tempo.
E poi c’è un’altra questione, più sottile ma forse ancora più insidiosa, sollevata da uno studio recente pubblicato su PNAS da Eugina Leung e Oleg Urminsky.
Le due autrici di PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences), autorevole rivista scientifica, hanno scoperto quello che chiamano “effetto di ricerca ristretta”.
In poche parole?
Tendiamo a formulare le nostre domande ai motori di ricerca in modo da confermare i nostri pregiudizi (“quali sono i benefici di X?”, “quali sono i rischi di Y?”).
I motori di ricerca, dando priorità alla pertinenza immediata, spesso ci mostrano risultati che rafforzano queste convinzioni iniziali, invece di offrirci una visione più ampia.
Tutto molto interessante.
Ma se questo è un problema dei motori di ricerca tradizionali, non vedo perché non possa esserlo anche per le IA!
Le IA, sempre più personalizzate, tenderanno sempre più a darci quello che vogliamo.
Per forza di cose, a farne le spese, sarà lo spirito critico, l’abitudine a cambiare opinione e non intestardirsi (e impigrirsi) sulle proprie convinzioni.
Per cui, come uscire da questo loop?
Le ricercatrici del PNAS suggeriscono che si potrebbero modificare gli algoritmi alla radice per fornire risultati intrinsecamente più eterogenei. Ma la vedo difficile (anche perché non so quanto convenga a Big G…).
Allora come andranno le cose?
Google, con la sua enfasi crescente sulla personalizzazione, andrà in questa direzione o finirà per creare delle “bolle informative” ancora più sofisticate e a prova di spillo, dove l’IA ci offre solo ciò che conferma quello che già pensiamo (o che vogliamo pensare)? Scusa lo scioglilingua!
Una domanda da un milione di dollari, su cui l’Head of Research di Google, Liz Reid, non si è sbilanciata, limitandosi a dire che la ricerca diventerà “più ancorata ai fatti, riducendo al minimo gli errori”.
Staremo a vedere.
Il Sacro Graal della visibilità: cosa vogliono davvero i “cervelloni artificiali”?
Ok, mettiamo da parte per un attimo filosofia e questioni esistenziali (perdonami, sarà questa pioggia che mi rende più riflessivo…).
Tu hai un business, un sito web, e la domanda che ti ronza in testa è:
“Come faccio a far sì che la mia roba venga vista, citata, linkata in questa nuova era IA?”
Se le persone iniziano a usare IA e LLM per cercare informazioni, cosa devi fare tu, concretamente, per non sparire dai radar?
Qui ci viene in aiuto uno studio affascinante dell’esperto Beeri Amiel, pubblicato su XFunnel, che ha analizzato la bellezza di 768.000 citazioni fatte da motori di risposta IA (ChatGPT, Perplexity, Gemini/AIO) per capire cosa preferiscono “mangiare”.
I risultati sono illuminanti per chiunque produca contenuti online.
Te ne dico qualcuno.
Tra il 46% e il 70% delle citazioni riguardava contenuti legati a prodotti.
Cosa significa?
Articoli “best of”, confronti tra fornitori (“X vs Y”), pagine prodotto direttamente dai siti dei venditori.
Se vendi qualcosa, o parli di prodotti/servizi, questo tipo di contenuto è oro colato per l’IA.
Perché?
L’IA cerca fatti, specifiche, dati affidabili, e li trova spesso lì.
Notizie e ricerche invece contano meno. News e contenuti di ricerca (white paper, studi accademici) si prendono una fetta tra il 5% e il 16% ciascuno.
Se poi ti rivolgi ad altre aziende (B2B), quasi il 56% delle citazioni IA punta a pagine prodotto ufficiali.
C’è meno spazio per recensioni o affiliazioni.
Se invece parli ai consumatori (B2C), le pagine prodotto scendono al 35%, mentre salgono di quota contenuti affiliati (18%), recensioni degli utenti (forum, Q&A – 15%) e news (15%).
In pratica, l’IA nel B2C (le aziende che vendono direttamente ai consumatori), cerca un mix di voci: quella ufficiale e quella della “piazza”.
Il funnel (l’imbuto che raffigura il percorso di conversione) qui fa la differenza:
- top of funnel (esplorazione del problema), qui dominano ancora i contenuti prodotto (56% – pensa a guide informative), seguiti da news e ricerche (13-15%). L’utente cerca informazioni generali;
- middle of funnel (confronto soluzioni), le pagine prodotto scendono un po’ (46%), ma salgono recensioni utenti e contenuti affiliati (14% ciascuno). L’utente confronta, cerca pareri terzi;
- bottom of funnel (decisione finale), qui le pagine prodotto ufficiali trionfano (oltre il 70%!). L’utente cerca dettagli specifici, specifiche tecniche, prezzi. L’IA va dritta alla fonte ufficiale.
La morale?
Per farti amare dalle IA, devi produrre contenuti ricchi di fatti, autorevoli, approfonditi, specialmente se tratti di prodotti o servizi.
Devi capire a chi parli (B2B o B2C?) e a che punto del “viaggio” si trova il tuo potenziale cliente.
Questi discorsi, nell’epoca delle AI Overviews (ora anche in Italia), sono più utili che mai, fidati.
Specialmente ora che, dopo l’update di marzo 2025, AI Overview è sempre più presente nelle nostre schermate di ricerca.
Ne va della visibilità del tuo brand e del futuro del tuo business.
Il traffico, i click e il grande incubo dello “Zero Click”
Parliamoci chiaro: la paura più grande per chiunque viva di visibilità online è che questi riassunti IA ammazzino i click verso i siti, nonostante le rassicurazioni di Elizabeth Reid.
Se Google (o chi per lui) mi dà già la risposta, perché dovrei cliccare sul tuo link?
È la cosiddetta “zero-click search“, un incubo che tiene svegli molti editori e imprenditori.
E le AIOs sembrano fatte apposta per peggiorare le cose.
Ma sai chi ha timore di tutto ciò?
Chi non ottimizza il proprio sito web o conta su strategie SEO vecchie e sorpassate.
Harry Clarkson-Bennett, analista SEO, fa notare dati preoccupanti:
quando un AIO è presente, i link tradizionali vengono spinti giù anche di 1200 pixel (una schermata intera!), con una riduzione del click-through rate (CTR) che può arrivare al 70%.
E il fatto che Google stia iniziando a linkare nelle AI Overviews altre pagine di ricerca Google non fa che aumentare i sospetti che l’obiettivo sia tenere gli utenti “in casa” il più possibile.
Google, ovviamente, racconta un’altra storia.
Elizabeth Reid insiste:
Le AIOs portano click di qualità superiore.
Liz Reid
E aggiunge che gli AIO mostrano una “maggiore diversità di siti web”.
Sarà vero?
Una ricerca di TrustRadius getta un fascio di luce interessante, almeno per il mondo B2B.
Dallo studio emerge come il 72% degli acquirenti B2B veda le AIOs durante le sue ricerche.
E la notizia bomba è che il 90% di loro dichiara di cliccare sulle fonti citate negli AIO per verificarne i fatti. Boom.
Questo suggerisce che, almeno in contesti professionali dove l’accuratezza è fondamentale, gli utenti non si fidano ciecamente dell’IA e vogliono andare alla fonte.
Kevin Indig, esperto SEO, riassume bene il possibile cambiamento di paradigma:
L’era del traffico di volume è finita. Quello che sta scomparendo sono i click dalla fase super iniziale del percorso d’acquisto. Ma le persone cliccheranno per visitare i siti, alla fine.
Kevin Indig
Meno traffico, forse, ma di qualità potenzialmente più alta, come ti spiegavo qui.
E tra click e conversioni, non devo chiederti cosa preferisci, no?
Questo sposta l’asticella. Non basta più (ammesso che sia mai bastato) puntare solo al traffico.
Diventa fondamentale essere la fonte citata.
Ma come si fa?
Creando contenuti talmente autorevoli e affidabili (ti dice qualcosa l’E-E-A-T di Google?) che conquistino le IA.
Questo, però, è un lavoro da consulenti SEO, non si può improvvisare dall’oggi al domani.
Il tuo business nell’era IA: come l’Intelligenza Artificiale riscrive la visibilità (e come rispondere)
Tiriamo un po’ le somme.
Google giura di non voler diventare un chatbot, ma di voler potenziare la sua capacità di organizzare informazioni verificabili.
Peccato che gli utenti preferiscano sempre di più proprio queste alternative “chiacchierone”.
Big G dice che non vuole imitare ChatGPT, ma la ricerca sarà sempre più conversazionale come sanno bene a Mountain View! (Anche per questo Big G ha lanciato AI Mode, non credi?)
Come ti ho detto, alcuni studi dimostrano che l’IA predilige certi tipi di contenuti e che, almeno nel B2B, la gente clicca ancora sui link per controllare le fonti.
Ma incombe lo spettro dello zero-click e la sensazione che Google stia giocando una partita dove le regole le decide (e le cambia) solo lui.
E tu, piccolo o medio imprenditore con il tuo business online, cosa puoi fare?
Prima di tutto non puoi far finta di nulla. Chiuderti in casa, quando fuori infuria uno tsunami, non serve a nulla, anzi, può solo complicare le cose.
Per farti trovare pronto in un contesto così caotico e mutevole devi affidarti a consulenti SEO che sappiano rendere il tuo sito sempre più “affascinante” per motori di ricerca IA, oltre che per il classico Google.
Questa per te può essere un’opportunità da non perdere.
La battaglia della visibilità ora si combatte anche sul campo di LLM e IA, non dimenticarlo!
Rivolgiti alla mia agenzia SEO, insieme scopriremo come conquistare il tuo posto al sole, anche ai tempi di IA e AI Overview.
Google non vuole diventare un chatbot, secondo Liz Reid: Domande & Risposte
Google intende diventare un chatbot come ChatGPT?
No, secondo Elizabeth Reid, responsabile della Ricerca di Google, l’obiettivo di Big G non è quello di trasformarsi in un chatbot conversazionale. Anche con l’introduzione delle AI Overviews, Google punta a organizzare le informazioni e renderle accessibili e utili, non a simulare una conversazione umana.
Cosa sono le AI Overviews di Google e a cosa servono?
Le AI Overviews sono riassunti generati dall’intelligenza artificiale che appaiono in cima ai risultati di ricerca. Non sono pensati per sostituire la navigazione, ma per offrire un punto di partenza sintetico e basato su fonti verificate, accompagnato da link per approfondire ulteriormente l’argomento.
Quali tipi di contenuti vengono citati più frequentemente dalle IA?
Secondo uno studio condotto su 768.000 citazioni da parte di motori IA, i contenuti più frequentemente citati sono quelli legati ai prodotti, come pagine prodotto ufficiali, confronti tra fornitori e articoli “best of”. Questi contenuti offrono dati affidabili, specifiche tecniche e informazioni concrete che le IA considerano utili per rispondere alle query degli utenti.