Rank Brain: tra le stanze del cervello di Google
Rank Brain ne è la conferma, non si smette mai di imparare. Certo, lo so, questo vale davvero per tutti: ragionieri, muratori, contadini, cuochi, astronauti… C’è sempre qualcosa di nuovo o di imprevisto da assimilare in tempi rapidi.
Ma ehi, ci sono professioni in cui puoi andare a dormire con delle convinzioni granitiche e svegliarti il giorno dopo per scoprire che gran parte delle tue certezze sono crollate sotto il peso di nuove e illuminanti verità.
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Tra questi sfortunati – o fortunati, visto che non hanno mai tempo per annoiarsi – ci sono gli esperti SEO, il cui lavoro cambia e si fa sempre più articolato via via che aumenta la complessità degli algoritmi di Google.
In questo periodo mi sono trovato più volte a raccontare del Rank Brain. Per questo ho deciso di parlartene in questo approfondimento completamente dedicato all’aggiornamento algoritmico che più di tutti ha inciso in passato e che maggiormente continuerà ad incidere nei prossimi mesi, perlomeno a mio avviso.
Sì, ma cos’è il Rank Brain? Qualcosa che si mangia? 🙂
A cosa servono le keyword?
Se fino a qualche tempo fa avessi chiesto come apparire su Google, ti posso garantire che interi stuoli di SEO sarebbero stati pronti a scommettere la propria automobile, il proprio portatile e parte della famiglia sulla fondamentale importanza del SEO copywriting e delle parole chiave. Anche tu, ne sono piuttosto certo, sei convinto che utilizzare le parole chiave giuste sia tuttora il metodo migliore per guadagnare le prime posizioni sui motori di ricerca.
Fermo lì, però. Pensa un attimo a cosa sono davvero le parole chiave: paroline magiche che noi individuiamo, utilizziamo e specifichiamo perché siamo consapevoli che Google non è davvero in grado di capire e interpretare correttamente i nostri testi.
Insomma, se un nostro contenuto web racconta le gesta della gallina prataiola del Bengal, noi andiamo subito a specificare a Google che il nostro testo parla esattamente della ‘gallina prataiola del Bengal’ usando la keyword.
Ma questo a cosa diavolo servirebbe se il motore di ricerca fosse in grado di leggere, indicizzare e capire davvero il testo da noi pubblicato? Beh, sarebbe proprio inutile. Anzi, sarebbe assurdamente – e persino pericolosamente – ridondante.
Ecco, e se ti dicessi che Google è già in grado (in un certo senso) di leggere e comprendere il contenuto delle tue pagine?
Non hai mai sentito parlare dell’algoritmo di intelligenza artificiale Rank Brain?
Se la tua risposta è no, sturati le orecchie e preparati a spalancare più volte la bocca per lo stupore. Eh sì, perché oggi scoprirai come mai la SEO non è più la stessa (e perché non lo sarà mai più). Non solo perderai il controllo sulla tua stupefatta mandibola, ma ti batterai anche più e più volte la mano sulla fronte, comprendendo gli errori del recente passato e scoprendo finalmente la causa di determinati fenomeni incontrati su Google negli ultimi due anni.
Ok, ma partiamo dall’inizio. Cos’è Rank Brain? E perché è importante per il tuo sito web, per il tuo e-commerce, per il tuo blog, insomma, per il tuo business, che tu sappia di cosa si stratta?
Se stai già fremendo per conoscere queste risposte, continua con la lettura: prometto fin da subito che darò una risposta chiara e precisa ad ogni tua domanda. E farò anche di più: prometto che entro la fine di questo post non solo saprai alla perfezione cos’è Rank Brain, ma saprai anche come ottimizzare al meglio il tuo sito web per soddisfare i requisiti di questo nuovo e intelligentissimo algoritmo!
Rank Brain: cosa diavolo è?
Di Rank Brain se ne è iniziato a parlare verso la fine del 2015. A differenza di quanto accade ad esempio per i dati strutturarti, la conoscenza di questo algoritmo in realtà non è così diffusa – e, visto che si parla di uno dei più importanti fattori SEO, la cosa è abbastanza singolare.
Sono tanti i motivi per cui c’è molta ignoranza intorno a questo algoritmo. Prima di tutto, c’è da sottolineare che si tratta di una relativa novità, e che il suo funzionamento è non così immediatamente comprensibile.
Nel web puoi trovare tante persone che spiegano cos’è Rank Brain, ma in molti casi la confusione regna sovrana e si va a scambiare un algoritmo con un altro.
Partiamo quindi dai fatti. Google ha reso noto l’utilizzo dell’algoritmo Rank Brain il 26 ottobre del 2015. Insomma, sono passati appena pochi anni.
Detto in modo estremamente semplice, Google utilizza Rank Brain per restituire dei risultati di ricerca migliori e maggiormente spendibili per l’utente. Sì, lo so, questo vuol dire tutto e niente. Ti assicuro però che, se ti fai un giro per la rete, nella maggior parte dei casi le spiegazioni relative a questo algoritmo si fermano qui, con questa specie di tautologia: cerchi Rank Brain su Google solo per scoprire che Google potrebbe aver utilizzato Rank Brain per restituire risultati migliori alla tua domanda “cos’è e a cosa serve l’algoritmo Rank Brain”.
Embè?
Cos’è Rank Brain, spiegato meglio
Per non fare confusione va specificato che Rank Brain non è un lupo solitario. No, Rank Brain è solo un componente del più massiccio algoritmo Hummingbird, che tra le altre cose custodisce alcuni algoritmi dei quali hai già sicuramente sentito parlare come ad esempio Panda, Pigeon, Penguin e Pirata. Il compito speciale di Rank Brain è quello di interpretare le query delle persone – ovvero le domande di ricerca digitate sulla barra di Google – e cercare i risultati migliori per soddisfare le esigenze degli utenti.
Fin qui tutto abbastanza normale, no? Ora però tieniti forte.
Eh sì, perché questi risultati – nello spirito del nuovo algoritmo – potrebbero persino non contenere le parole chiave usate per dare il via alla ricerca.
BOOOM!
Una cosa del genere sarebbe stata tacciata di blasfemia dalla SEO vecchia scuola… ma i tempi sono cambiati! Oggi si parla (che ci piaccia o no) di web semantico e di machine learning. Il che vuol dire, in parole povere, che Google s’è fatto intelligente. Lo era già? Beh, allora è ancora più intelligente. Oggi Google è molto più vicino al supercomputer di 2001: Odissea nello spazio di quanto possa essere vicino ad un Nokia 3310, per intenderci.
I motivi che hanno spinto Google ad inserire Rank Brain
Ma perché Google ha voluto inserire questo nuovo algoritmo? Da dove nasce la necessità di Rank Brain? Cos’è, aveva forse paura che i SEO si stessero adagiando sugli allori?
Macché, la colpa è degli utenti. Eh già, l’approccio degli utenti ai motori di ricerca si è fatto sempre più colloquiale, e le domande di ricerca (le query) sono diventate via via più ambigue e poco chiare, richiedendo maggiori sforzi di comprensione da parte del motore di ricerca. Gran parte di questo cambiamento è da ricondurre all’introduzione di Siri e delle query vocali, che sono diventate ben presto molto più articolate del semplice inserimento di una parola chiave su Google.
Diamo un’occhiata più da vicino ad Hummingbird
Che cosa ha fatto dunque Mister G per essere certo di restituire sempre i migliori risultati possibili ai propri utenti? Semplice: ha creato tot algoritmi in grado di captare e interpretare un gran numero di segnali che l’utente non sa nemmeno di inviare al motore di ricerca.
In base alla posizione dell’utente – Italia o Stati Uniti, Cagliari o Trieste – e al tipo di dispositivo usato – desktop o mobile – Google può restituire all’utente di volta in volta dei risultati diversi.
Ma qui non stiamo parlando dei ‘normali’ strumenti utilizzati da Google per restituire le pagine più utili all’utente. No, qui stiamo parlando di Rank Brain, che normale non è affatto.
Questo algoritmo non si limita a cercare un singolo indizio da buttare nel mucchio, fa molto di più: si sforza di interpretare al meglio la query di ogni singolo utente. Questo significa che se tu digiti su Google una domanda di ricerca lunga e complessa, lui non si limiterà a selezionare le parole chiave e a individuare di conseguenza le pagine web che le contengono. No, andrà oltre: metterà a confronto l’attuale query con le ricerche passate, collegherà i termini tra loro e avanzerà delle ipotesi sulla reale esigenza del cliente (tu), al di là delle semplici parole chiave.
Perché Rank Brain è così importante?
Non appena Rank Brain individua una semplice parola o una frase che non gli risulta del tutto familiare, l’algoritmo va a creare delle associazioni con altre parole che possono avere un significato simile, restituendo di conseguenza dei risultati molto probabilmente vicini alle esigenze dell’utente.
Insomma, parliamo di un algoritmo davvero complesso e davvero intelligente. Ok Roberto, potresti pensare tu, tutto questo è bello e molto interessante… ma perché cavolo Rank Brain è così importante?
Te lo spiego subito. Tanto per iniziare, questo algoritmo è così importante perché quelli di Google si sono esposti pubblicamente su questo argomento e, considerando la normale riservatezza degli ingegneri di Mountain View quando si parla di fattori di ranking, di certo non possiamo prendere questa dichiarazione sottogamba. Oltretutto non è che si sono limitati a dire: “Ehi, da oggi usiamo Rank Brain insieme ad altri 200 fattori di ranking“. No, hanno dichiarato esplicitamente che Rank Brain è il terzo fattore più importante nel determinare i risultati di ricerca. Sui primi due non c’è alcuna certezza, ma ora sappiamo che il terzo è proprio questo… e non possiamo assolutamente fare finta di niente!
Ma c’è di più. Nel 2015 è stato dichiarato che questo algoritmo è il diretto responsabile per circa il 15% dei risultati delle ricerche online. Ti sembra poco??
Ecco, questi sono i motivi per i quali Rank Brain è molto importante per chiunque si occupi di SEO o sia intenzionato a migliorare – o a mantenere – il posizionamento del proprio sito web.
Ci sei fino a qui? Bene, allora andiamo avanti!
Cosa cambia in ottica SEO con Rank Brain?
Eccoci qui, ora puoi accompagnare la tua mandibola verso la sua posizione originale ed evitare che ti entrino altre mosche in bocca. Ti ho tolto un bel pezzo di terreno sicuro da sotto i piedi, non è vero? Ho fatto scomparire alcune delle più solide certezze che avevi in campo SEO?
Beh, senz’altro fai bene a porti alcune domande. Ad esempio: una strategia SEO deve partire ancora oggi dalla definizione delle keyword, dal momento che ci troviamo ad interloquire con un motore di ricerca oltremodo intelligente?
Prima c’erano degli algoritmi matematici piuttosto rigidi che determinavano i ranking delle varie pagine web. Ora c’è invece un algoritmo dinamico e – sì, lo ripeto di nuovo perché mi piace un sacco – dannatamente intelligente, capace di cambiare di volta in volta i risultati da restituire all’utente.
È questa la fine della SEO? Assolutamente no! Però di certo non si può restare indifferenti di fronte a questi cambiamenti interni al motore di ricerca. E altrettanto certamente non ti lascerò solo soletto dopo aver distrutto buona parte delle tue certezze.
Ora, infatti, dopo averti spiegato cos’è Rank Brain, passerò alla seconda fase di questo post, quella più costruttiva. Vuoi scoprire quali sono le strategie SEO da mettere in campo in un mondo dominato (almeno dal terzo scalino del podio) da Rank Brain? Allora continua a leggere!
Panda, Penguin, Rank Brain
A stravolgere i sogni dei SEO nel 2010 era arrivato prima di tutto lui, Panda, che ha ridimensionato il posizionamento dei siti web caratterizzati da contenuti di bassa qualità. Poi due anni dopo è arrivato anche Penguin, che ha cancellato una volta per tutte le derive più artificiose della link building. Nel 2015 è stata la volta di Rank Brain, che però, va detto, non ha di certo un carattere distruttivo quanto i due predecessori.
Insomma, Rank Brain non è così cattivo. Prima di tutto non sembra che questo algoritmo venga utilizzato in tutti i casi. Come è stato studiato, non tutte le ricerche attivano questo strumento di machine learning: in linea generale lui entra in gioco con le query lunghe e particolarmente colloquiali, quindi complesse.
Ma cosa vuol dire complesse? Beh, tanta roba, partendo dal fatto che circa un sesto delle ricerche fatte su Google non sono mai state fatte prima di quel momento. In più, a quanto pare, mister G non ha indizi sufficienti per capire quanto sono realmente rilevanti i contenuti del 99% delle risorse online, visto che per esempio mancano di link dall’esterno.
Strategia numero 1: aumentare il click through rate… nel mondo della ricerca organica
Quando ho parlato di Rank Brain e di un possibile ranking a prescindere da segnali particolari come link e tag, probabilmente qualche lettore ha alzato le orecchie convinto di aver già sentito altrove un simile ragionamento.
Proprio così: Google ha già attivato da anni una simile tecnologia per AdWords con l’utilizzo del Quality Score per il posizionamento degli ads.
Da un certo punto di vista il Rank Brain porta questo tipo di ragionamento nel mondo della ricerca organica. Ma cosa determina il costo per click e l’ad rank in AdWords? Semplice: il click through rate, la rilevanza delle parole chiave, la qualità della landing page e le performance storiche.
Ok, ma come può tutto questo influenzare il posizionamento di un annuncio? Beh, tutto sta nel fare più click through rate del previsto. Il CTR è un componente chiave del punteggio di qualità di AdWords e un valore che ovviamente cambia di continuo al variare del giorno, del posizionamento geografico, del device utilizzato e di tanti altri fattori.
In un certo senso, con l’entrata in gioco di questo ragionamento nella ricerca organica, una pagina non combatte più unicamente contro le concorrenti per migliorare il proprio piazzamento; ogni pagina è in lotta anche contro se stessa per andare a conquistare un click through rate più alto del previsto.
Può sembrarti strano, ma questo significa esattamente dare maggiore peso all’opinione e all’esperienza degli utenti. Più crescono i click, maggiore è il piazzamento della pagina.
Quindi, cosa dovresti fare per aumentare il tuo click through rate? Dovresti ovviamente sfruttare le tecniche usate quotidianamente dagli esperti di Pay Per Click, che ogni santissimo giorno lavorano proprio per aumentare il proprio Quality Score.
Strategia numero 2: emozioni nei titoli di pagina e nelle meta descrizioni
Non ci allontaniamo dall’universo del PPC, perché se è da lì che arriva il ‘precursore’ di Rank Brain è sempre da lì che dobbiamo trarre tecniche sicure per le nostre nuove strategie SEO, non credi?
Bene, per sapere quali sono i migliori title e meta description per le tue pagine web devi iniziare a fare riferimento anche ai metodi migliori per realizzare le Dyamic Keyword Insertion su Google AdWords. Quello che funziona alla perfezione di là, funzionerà tendenzialmente bene anche da questa parte in virtù del Rank Brain. E sai cosa funziona alla grande quando si parla di ads PPC?
Te lo dico subito: le frasi emozionali. Quando scrivi i tuoi title e le tue meta description punta a generare passione, disgusto, paura, rabbia, attrazione. Insomma, fai quello che vuoi, ma non dimenticare di smuovere l’animo dell’utente – e di conseguenza quello del motore di ricerca. Però non affidarti al caso: testa i tuoi titoli e le tue meta descrizioni come se fossero annunci a pagamento, controllando i relativi CTR. Quelli con i risultati migliori diventeranno i tuoi nuovi title e meta description!
Occhio però, non farti prendere la mano, non pensare che la transizione di Google sia completa. Insomma, non dimenticare di utilizzare le parole chiave.
Quindi, ricapitolando: emozioni, parole chiave e test. Capito? Bene, passiamo alla terza strategia SEO da mettere in campo sotto la bandiera sventolante del Rank Brain!
Strategia numero 3: il tasso di conversione
Lo sapevi che Google per calcolare il Quality Score di un annuncio va a guardare anche il relativo tasso di conversione? Proprio così, questo è un fattore presente in AdWords (per quanto nascosto) e dovresti iniziare a tenerlo ben presente anche quando si tratta di ottimizzazione SEO.
E no, non parlo solo di quanti utenti completano un form, ma anche di altre metriche che suggeriscono l’engagement di un utente come ad esempio il tasso di rimbalzo e il tempo speso su una pagina. Ricordati che Google sa molto meglio di te qual è il comportamento degli utenti sulle tue pagine: lo sa grazie a Chrome, ad Android, a Gmail, a Maps, a YouTube, a Play, a Search, ma anche grazie alle tonnellate di informazioni che arrivano direttamente da Google Analytics e da AdWords. Perché mai Mister G non dovrebbe utilizzare tutto questo per restituire risultati migliori?
Da parte tua, l’obiettivo deve invece essere quello di alzare i tassi di engagement degli utenti così da andare oltre ai valori previsti da Google sulle metriche relative al tasso di rimbalzo, al tempo sulla pagina e in generale alle conversioni. Poniamo il caso che il sito delle tua azienda di assicurazioni per animali abbia un tempo medio di permanenza di 20 secondi e che quello del tuo concorrente vanti invece un tempo medio di 1 minuto. Chi credi che ne uscirà favorito?
E adesso arriviamo ai tuoi dubbi… sì, facciamo un’ipotesi sui primi due fattori di ranking di Google
Sì, lo so, nella tua testa ci sono ancora molti dubbi e domande. Per esempio, sono sicuro che da molti paragrafi a questa parte hai continuato a domandarti: ma aspetta, se il Rank Brain è il terzo segnale per importanza dichiarato da Google, quali sono i primi due?
Beh, come anticipato, Mister G non ha specificato nulla al riguardo. Non vorrai certo che quelli di Mountain View ci semplifichino eccessivamente la vita! Noi però possiamo pur sempre fare delle ipotesi.
Molto probabilmente al primo posto compaiono i link. La loro importanza era altissima anche in passato, poi gli utenti hanno esagerato con strumenti di link building del tutto artificiosi, i quali sono stati ridimensionati con il ritorno all’ordine costituito dall’introduzione di Penguin.
Nonostante tutta questa storia travagliata sono abbastanza certo che i link siano tutt’ora rivestiti di un’importanza suprema.
Al secondo posto… beh, difficile essere precisi. Per non sbagliare direi il contenuto, ovvero le parole in quanto tali: non solo le keyword, dunque, ma l’effettiva qualità del testo e la sua utilità per l’utente.
Ma quando viene attivato Rank Brain, e come funziona nel concreto?
Come sempre, quando si parla di Google e dei suoi algoritmi non abbiamo certezze solide e inattaccabili. Per esempio: in quali casi Rank Brain viene sicuramente attivato?
Sopra ti ho parlato in modo generico delle long tail query, qui cercherò di essere più specifico riportando l’unico esempio reso pubblico da Google. Gli ingegneri di Mountain View hanno infatti dichiarato che il nuovo algoritmo entrerebbe automaticamente in gioco con una domanda del tipo:
What’s the title of the consumer at the highest level of a food chain
Ecco, anche un non-angolofono capisce subito che questa query molto probabilmente non è stata cercata spesso. Ancor più probabilmente queste parole non erano mai state digitate una dietro l’altra prima dell’esempio realizzato ad hoc da Google. La query è lunghissima, è strana ed è pure ambigua. La parola ‘consumer’, infatti, può riferirsi in modo generico a un consumatore o a un cliente, ma in questo caso si riferisce ad un preciso consumatore della catena alimentare (insomma, si sta parlando di un ‘predatore’).
Cosa poteva restituire Google come risposta? Difficile dire esattamente come, ma per arrivare ad un risultato simile Rank Brain ipotizza la similitudine tra questa strana e lunga query con un’altra maggiormente utilizzata, più semplice e più frequente, come per esempio ‘top level of the food chain’, facendo così un compromesso tra le due ricerche.
Conclusioni
Siamo arrivati alla fine. Hai capito cos’è il Rank Brain e come dovrebbe influenzare l’ottimizzazione del tuo sito web? Di certo non sarà facile introdurre stabilmente questa componente nella costruzione delle tue strategie SEO, ma è meglio che non aspetti troppo a farlo: l’importanza di questo algoritmo – e più in generale dei meccanismi di machine learning – non può che crescere nel tempo.