Un videogioco da più di 10 miliardi di dollari
Tredici capitoli ufficiali, sei spin-off, innumerevoli record di vendite e un incasso complessivo superiore ai 10 miliardi di dollari: la popolarissima serie di videogiochi Call of Duty ha saputo rivoluzionare come nessun altro il mondo dei videogame. Già con l’uscita del primo titolo, nel lontano 2003, reimpostò il modo di pensare non solo agli sparatutto, ma all’intero comparto ludico high tech, alzando i livelli di realismo e immedesimazione oltre ogni limite conosciuto. La fortuna di questa serie non è però da ricondurre solamente alle qualità intrinseche del gioco: buona parte del suo successo va infatti riconosciuta alle campagne marketing innovative, coraggiose e no-stop che hanno accompagnato ogni singolo lancio di Call of Duty.
La nascita del videogame
Quella di Call of Duty è prima di tutto la storia dei suo creatori e della loro piccola ribellione nei confronti del colosso statunitense Electronic Arts. 2015, Inc.: così si chiamava il team che, dopo aver lavorato allo sviluppo di Medal of Honor: Allied Assault per EA Games, decise di mettersi in proprio per concepire un nuovo videogioco bellico dai tratti altamente cinematografici. I 22 sviluppatori fuoriusciti si resero però ben presto conto dell’impossibilità di fronteggiare da soli i giganti della produzione videoludica: per la sviluppo e il lancio di Call Of Duty decisero quindi di tornare almeno parzialmente sui propri passi, unendosi però ad un’altra azienda, Activision, attiva in questo settore fin dal 1979.
Call of Duty, spiegato
Non è facile spiegare ai profani cosa sia Call of Duty. Seguite il calcio? È lo Zlatan Ibrahimović dei videogiochi. Leggete? È il Philip Roth degli sparatutto. Appassionati di motori? Call of Duty è una Ferrari. Siete degli appassionati di videogame? Questo paragrafo non è per voi: chiunque abbia il callo del controller sulle mani conosce benissimo almeno uno o due capitoli di questa fortunatissima serie. Come anticipato, tutto iniziò nel 2003, quando Activision lanciò quello che sarebbe diventato il suo prodotto di punta: Call of Duty, spesso abbreviato in CoD. Si tratta di uno sparatutto in prima persona ambientato durante la seconda guerra mondiale, che permette al giocatore di immedesimarsi in tre differenti personaggi: un soldato inglese, uno statunitense e uno russo, impegnati uno dopo l’altro – insieme ai propri compagni – nel combattere il comune nemico, ovvero la Germania Nazista. Le varie ambientazioni del videogame sono delle curatissime ricostruzioni dei reali campi di battaglia sui quali si decisero le sorti del conflitto mondiale.
Una vera esperienza bellica
L’enfasi posta sulla presenza dei ‘compagni’ nella presentazione di questo sparatutto non è casuale: per aumentare al massimo il realismo gli sviluppatori si impegnarono affinché tutti i personaggi presenti nel gioco apparissero come umani senzienti, diversamente dai soliti personaggi ‘sagoma’ tipici dei videogiochi dell’epoca. A proposito di questo aspetto il vice presidente di Actvision Dusty Welch, prima del lancio del prodotto, spiegò che «la marca Call of Duty darà al pubblico la più autentica, intensa e realistica esperienza bellica dalla prospettiva di più soldati che combattono in prima linea. Nessun soldato, o nemmeno un paese, vince le guerre da solo, ma piuttosto le guerre sono vinte attraverso sforzi collettivi, gioco di squadra e legami da persone comuni di soldati di un’alleanza di nazionalità che ubbidiscono tutti alla loro chiamata al dovere». E questa dichiarazione, oltre a rimarcare la rivoluzione che questo nuovo videogioco voleva apportare al settore, la diceva già lunga sulla strategia di marketing che avrebbe caratterizzato la serie negli anni seguenti: il gioco non solo si rifà alla realtà, ma è anche partecipe e persino critico verso di essa. Ma ci arriveremo più avanti.
Il lancio di Call of Duty
Il primo capitolo di Call of Duty riuscì a vendere oltre 4,5 milioni di copie, ricevendo svariati premi come Gioco dell’anno 2003. Altri dodici titoli sono usciti negli anni seguenti, e il business continua con successo anche ai nostri giorni: cambiano le trame, le ambientazioni e le epoche, ma lo spirito del gioco rimane sempre lo stesso nel tempo. In ogni nuovo capitolo i giocatori vengono immersi in un mondo in cui ogni singolo passo potrebbe essere quello sbagliato, dove la bolgia della battaglia viene vissuta in prima persona in ambientazioni realistiche e curate nel minimo dettaglio. Quasi ogni capitolo ha subissato i record delle uscite precedenti: Call of Duty Black Ops ha incassato 650 milioni di dollari nei primi cinque giorni, CoD Modern Warfare III ha venduto 6,5 milioni di copie, CoD Black Ops II ha raggiunto 500 milioni di dollari nelle prime 24 ore dal lancio mentre CoD Black Ops III è stato il gioco più venduto in assoluto per quanto riguarda le console di ultima generazione. E questi sono solo alcuni degli esempi della potenza sul mercato di questo videogioco. Ma cosa ha permesso a questo brand di raggiungere costantemente questi risultati da guinness dei primati? Quali sono state le mosse vincenti dietro ad ogni lancio di Call of Duty?
Un marketing virale, spiazzante e totalizzante
In 13 anni di attività le campagne marketing per l’annuale lancio di Call of Duty hanno raggiunto vette inimmaginabili, grazie ad un’attività strenua e tentacolare che ha spaziato su tutti i media e con qualsiasi mezzo. Nei video teaser che hanno anticipato il lancio dei nuovi prodotti sono comparsi normali giocatori, ma anche celebrità del calibro di Robert Downey Jr., Jonah Hill e Sam Worthington. Ma il publisher Actvision, dopo dieci anni, ha voluto spingersi più in là: decise che utilizzare i visi delle celebrità all’interno dei commerciali non era più abbastanza. Dopo la mezza delusione di CoD Ghost, uscito nel 2013 vendendo ‘solo’ 13 milioni di copie, la serie ha infatti pensato di sfruttare ancora più a fondo Hollywood, incorporandola direttamente nel gioco: il super cattivo di CoD Advanced Warfare (2014) ha infatti la voce, il viso e le movenze di Kevin Spacey. Quanto invece a quel mezzo passo falso che fu Ghost, in quell’occasione Actvision si avvalse anche della colonna sonora firmata e cantata da Eminem. Insomma, quanto a celebrity, l’annuale lancio di Call of Duty non si è fatto mancare proprio nulla.
Gadget ai giornalisti e Jeep per i fan per il lancio di Call of Duty
Come abbiamo però accennato, le vie del marketing percorse da Call of Duty non si contano sulle dita di una mano: basti pensare che per il lancio del primo capitolo dello sparatutto, Activision decise di mandare alle agenzie di stampa gli effetti personali dei tre personaggi protagonisti del gioco, ovvero foto sbiadite, lettere alla famiglia e alle fidanzate, accendini Zippo, distintivi, scatole di latta ed altri curiosi gadget. E questo proprio mentre le riviste di tutto il mondo erano prese d’assalto dalla campagna pubblicitaria standard. Per citare un’altra iniziativa marketing poco ortodossa possiamo ricordare poi che, in occasione del lancio del primo Black Ops, Activision avviò una collaborazione con Chrysler per la produzione di una Jeep in edizione limitata, dedicata ai fan al videogame: prezzo di partenza del fuoristrada, negli Stati Uniti, 30.625 dollari.
Le campagne marketing hanno spiegato come intendere questo gioco
Il punto forte di ogni singolo lancio di Call od Duty è però stato quello di imbastire delle strategie di marketing in grado di spiegare come i propri videogame dovessero essere giocati e vissuti. Ma non solo: le campagne della Activision andarono oltre, fornendo una linea interpretativa ai propri consumatori, suggerendo in che modo quel prodotto doveva essere assimilato. Quella che si andava creando anno dopo anno, dunque, era una vera e propria ideologia del prodotto, una linea di pensiero che continuava all’esterno dell’universo virtuale costituito dai giochi attraverso gli sforzi promozionali della Activision. A questo proposito, potrebbe inoltre stupire sapere che no, nonostante si stia parlando essenzialmente di un gioco di guerra, l’ideologia alla base di questa strategia di marketing non è sempre schierata dalla parte del mondo militare. Questo lo possiamo vedere nel dettaglio in due distinti capitoli della saga, ovvero Black Ops II e Ghost.
No alla tecnologia, sì all’animo individualista
Puntiamo lo sguardo su Black Ops II, uscito nel 2012 e ambientato nel 2025: la trama tuffa il giocatore in un mondo in cui gli eserciti sono costituiti da droni e robot. In questa situazione futuristica ma neanche troppo, dei terroristi hackerano i suddetti robot e li scatenano contro le principali potenze mondiali: compito del giocatore sarà quello di riportare il pianeta alla normalità. La narrazione del gioco lascia quindi intendere che la robotizzazione degli eserciti non può portare a niente di buono: le campagne marketing impegnate nel lancio di Call of Duty: Black Ops II, da parte loro, anticiparono e rinforzarono questo messaggio, diramando in rete uno pseudo-documentario autoprodotto su queste tematiche. Nel video appaiono il famoso – e molto discusso – ex Colonnello Oliver North e il politologo P. W. Singer, i quali lasciano intendere che la tecnologia applicata all’apparato militare sia un bene quanto un male: i droni possono infatti tenere lontani i nostri soldati dal pericolo, ma possono anche essere hackerati e quindi rivoltati contro il popolo che li ha costruiti.
La stessa cosa succede con Call of Duty: Ghost, uscito l’anno seguente. Anche qui l’altissima tecnologia dell’esercito americano si rivolta contro i suoi creatori. E qual’è la soluzione che viene scelta dagli ideatori del gioco, seguendo il più naturale degli istinti dell’uomo occidentale? La risposta è una e pienamente americana: la patria verrà messa in salvo dall’individualismo più selvaggio ed eroico. A salvare il mondo è infatti un manipolo di soldati in stile cowboy – la squadra Ghost, per l’appunto – dediti alla violenza e in nessun caso alla diplomazia, soluzione che pesca a piene mani nella più pura e genuina mitologia statunitense (dal Far West a David Crockett, fino a Theodore Roosevelt). Ed è qui, è qui che la complessa strategia di marketing dietro al lancio di Call of Duty voleva far arrivare i consumatori, ovvero a liberare il loro animo individualista e, nei loro sogni, dannatamente eroico. Il tutto, s’intende, con un controller al posto della pistola.
Influenzare il modo in cui il prodotto verrà posizionato
Gli sviluppatori di Call of Duty, dunque, hanno carpito l’anima del gioco a partire da quella intima del proprio target di riferimento. Le campagne di marketing, a questo punto, non hanno dovuto fare altro che riproporre maestosamente e sotto la luce giusta quella componente individualista, violenta e implicitamente eroica che il consumatore aveva già dentro di sé e che veniva liberata proprio da questo videogioco di massa. Come del resto ha spiegato Eric Hirshberg, Ceo di Activision dal 2010, «nel mondo della pubblicità, tutto quello che si deve fare è influenzare il modo in cui il prodotto viene posizionato e presentato. Ma come abbiamo imparato dal business degli annunci, molte volte non c’è nulla di speciale o di differente da evidenziare in un prodotto». Questo non è però il caso dei capitoli di Call of Duty, i quali «sono stati creati differenti ancor prima che iniziasse il nostro processo di comunicazione».
Un videogame seriale e di massa
L’ultimo motivo del successo della saga che vogliamo esporre è al medesimo tempo l’ennesima dimostrazione della sua potenza distruttrice, ovvero la sua serialità, che continua ininterrotta dal 2003: ogni anno esce infatti un titolo nuovo che punta esplicitamente a superare i record dei capitoli precedenti. Altri videogame tentano di fare lo stesso, ma Call of Duty è l’unico videogioco seriale che riesce ad essere anche un prodotto di massa (diversamente, per esempio, da FIFA). E come spiega Tim Ellis, Cmo di Activision, «dobbiamo trattare ogni singolo lancio di prodotto come quello precedente, e non possiamo farlo unicamente cercando di superare noi stessi. Dobbiamo settare la nostra mente in modo da capire che abbiamo bisogno ogni volta di un radicale salto in avanti per lanciare il nostro franchise». Come ha stimato l’analista di Cowen Group Doug Creutz, il lancio di un nuovo capitolo di Call of Duty costa tra i 50 e i 100 milioni di dollari all’anno, investimento che viene repentinamente ricompensato da un incasso medio da oltre un miliardo di dollari.
Conclusione
Le lezioni che si possono imparare dal lancio di Call of Duty sono quindi moltissime, tante quante sono le carte vincenti giocate da questo brand. Un business che vuole puntare al successo planetario deve essere in grado di spiegare se stesso ad un larghissimo settore di clientela, e per fare questo deve puntare alla collaborazione di partner chiave, anche per quanto riguarda l’ottica promozionale: i contributi di Eminem, Robert Downey Jr. e Jeep in questo senso sono state delle casse di risonanza enormi, le quali hanno fatto diventare il brand una notizia di cui tutti i media hanno parlato spontaneamente, e per lungo tempo. Nonostante tutto, però, un videogame non è uno strumento di cui un cliente sente il bisogno: non potendo quindi spiegare al pubblico l’utilità del prodotto, la strategia di marketing di Call Of Duty ha puntato meglio di chiunque altro alla creazione di un’ideologia condivisa dal pubblico, in grado di alzare e rafforzare il valore del proprio brand. Sono queste le mosse che hanno portato il prodotto di Activision ovunque: se negli ultimi anni, in un qualsiasi appartamento, c’è stata una console, è praticamente sicuro che lì vicino ci sia stato almeno un cofanetto del franchise Call of Duty.