In questo articolo ti racconterò perché il SEO copywriting, come direbbe Fantozzi, è una cagata pazzesca.
Ti metto subito in chiaro come la penso.
- Esiste la SEO.
- Esiste il copywriting.
- Quello che non esiste è il SEO copywriting, almeno non come te l’hanno spiegato.
Perché?
Ecco perché: “Scrivere SEO” è una maledetta piaga sociale.
Sta rovinando il web e sta danneggiando la capacità delle persone di scrivere in italiano.
Hai presente il semaforino verde di Yoast? Quello osannato da qualunque consulente seo qui sul web?
Ecco, quella roba lì è il male incarnato.
La cosa veramente assurda è che questa tecnica di scrittura, a base di parole chiave un tanto al chilo, dovrebbe servire a posizionare i contenuti nei posti più alti della SERP, mentre in realtà… beh, semplicemente non funziona.
Ma come, Roberto, sei impazzito? Tutti mi hanno sempre detto di scrivere utilizzando le keyword, di inserirle negli H2 e negli H3, di metterle all’inizio del titolo… e tu dici che non serve a niente?
Lo so, amico mio, it’s a lot.
Facciamo così, ora prendi un bel respiro, lucidati le pupille con uno straccio (pulito) e mettiti comodo.
Te la senti?
Come il “SEO copywriting” sta distruggendo scrittura & comunicazione (e non solo)…
Nel mondo prima di Google chi si occupava di scrivere aveva solo una preoccupazione: rendere i testi piacevoli, comprensibili, accattivanti.
Per dirla in un altro modo, i copywriter facevano il loro mestiere, quello di professionisti della parola.
Poi è arrivata la rivoluzione digitale e, nel giro di pochi anni, il web è diventato il gigantesco contenitore di parole che conosciamo.
In un certo senso viviamo nell’età dell’oro della scrittura.
Mai prima d’ora, nel corso di tutta la storia dell’umanità, si sono prodotti così tanti testi scritti.
Come conseguenza, però, è sorto un altro problema.
Come rendersi visibili? e ancora… come farsi trovare dai lettori nel mare magnum di contenuti presenti sul web?
Di fatto, le alternative sono due: o si paga per farsi notare, o si cerca di essere presenti dove gli utenti cercano risposte alle loro esigenze.
E, nella maggioranza assoluta dei casi, quel posto sono le prime posizioni su Google.
Ed è qui che è nasce l’egoistica favoletta del SEO copywriting.
Quella che racconta come Google riesca ad analizzare la qualità dei testi, quella secondo cui per conquistare le ambite prime posizioni della SERP bisogna prima di tutto scrivere per “piacere a Google”.
Seguimi qui.
Secondo questo ragionamento noi (leggi tu) dovremmo “scrivere un articolo SEO“, non per i lettori, ma per avere la benedizione di quello che alla fine non è altro che un algoritmo, un sistema di calcolo.
Ti rendi conto dell’assurdità?
Si stanno sacrificando le persone per di più per piacere ad un robot!
Questa bufala della scrittura SEO sta davvero facendo danni mostruosi, tant’è che la maggior parte dei testi che si trovano oggi sul web sono brutti, ridondanti, noiosi.
Questo – inutile girarci in tondo – succede perché ormai da anni si ripetono a pappagallo le stesse fesserie: che nei contenuti bisogna reiterare un certo numero di volte la keyword, che i testi devono essere lunghi, il più lunghi possibili, più lunghi di tutti gli altri.
E così si allunga il brodo, anche quando non serve, e si creano quelle “introduzioni sul modello pippone Aranzulliano” che prima di arrivare al cuore della questione ti raccontano anche la storia di Adamo ed Eva, hai presente?
Ciao Salvatore, ti voglio bene.
Per non parlare poi delle immagini, che invece di essere scelte per il loro valore comunicativo vengono messe lì come segnaposto, come nota di colore.
Comunicazione? Adios… e puoi credermi quando ti dico che la link building non ti aiuterà!
Purtroppo, una volta avviato, il contagio è difficile da fermare.
Le cosiddette tecniche di scrittura SEO hanno prima infettato i blogger, i comunicatori e i copywriter che si occupano di contenuti web, per arrivare fino all’editoria e al mondo della stampa, con il risultato che oggi il giornalista medio scrive decisamente peggio del suo corrispettivo di venti o trent’anni fa (e spesso persino senza un calendario editoriale).
Insomma, è una tragedia.
E tutto si basa di fatto su una gigantesca incomprensione, su un assunto sbagliato. All’origine di tutto questo pasticcio c’è infatti la convinzione che Google legga i testi pubblicati online per valutarne la qualità.
Cosa capisce Google dei tuoi contenuti, in realtà
Ripeti insieme a me.
- Google non sa se scrivi bene.
- Google non sa se scrivi meglio degli altri.
- Google non sa se scrivi “come piace a Google”.
Perché NO, Google non legge i tuoi testi.
I tuoi testi non li capisce proprio. O meglio, ha appena iniziato a comprenderli (vagamente).
Come faccio a dirlo?
È semplice, guardando i brevetti.
A fine 2019 (mica vent’anni fa) Google ha annunciato l’implementazione di BERT update, un aggiornamento dell’algoritmo finalizzato a migliorare la comprensione del linguaggio naturale.
In pratica BERT utilizza l’intelligenza artificiale per comprendere cosa significano esattamente le parole in una frase e – questa è la vera novità – tutte le sfumature del contesto semantico.
Per capirsi, prima di BERT Google registrava le singole parole utilizzate nel testo, ma non capiva il il significato complessivo delle frasi.
Con BERT Google ha fatto un enorme passo in avanti nella comprensione del linguaggio, ma è ancora molto lontano dall’essere veramente “intelligente”.
Senza contare che analizzare il testo gli costa.
Ecco allora spuntar fuori Google Pegasus, che scandaglia il contenuto per creare riassunti automatici della pagina così da limitare la quantità di dati da analizzare.
In sintesi dunque: no, Google non legge il testo. Più che altro lo sonda, lo riassume e lo classifica a grandi linee per argomento.
Anche perché hai idea di quale potenza di calcolo servirebbe per analizzare nel dettaglio tutte le singole frasi nelle centinaia di migliaia di testi che ogni giorno si producono online?
Dal sito complottaro che fa cento visite al mese fino alle pagine del New York Times…
E potenza di calcolo vuol dire risorse: energia, calcolatori, soldi.
Google, ricordiamocelo, non è un ente benefico: è una multinazionale che vuole fare soldi, quindi cercherà di raggiungere il massimo del risultato con il minimo dello sforzo (economico).
Ma allora tutte quelle belle parole sulla qualità e la rilevanza dei contenuti? Erano solo panzane?
No, no, piano.
È vero che Google valuta la qualità dei contenuti.
Ma non lo fa cercando di comprendere il significato dei testi. Come ormai avrai capito anche tu, leggere il linguaggio umano è complesso e soprattutto dispendioso.
Una cosa che invece Google sa fare benissimo, e che fa da anni, è conoscere, decodificare e capire la qualità dell’esperienza dell’utente sul web.
Pensaci.
Google è il motore di ricerca più usato al mondo.
Una larghissima parte dei siti web ha dunque installato il codice Analytics. Metà del globo utilizza un cellulare Android, la posta elettronica di Gmail, il navigatore di Google Maps… capisci di che quantità e qualità di informazioni stiamo parlando?
Presente quella cosa chiamata Google Analytics?
Attraverso Analytics, Google è in grado di rilevare una marea di segnali utili a valutare quanto proficua è una sessione di ricerca e misurare il coinvolgimento dell’utente con il contenuto:
- cosa viene visualizzato,
- cosa viene scrollato,
- cosa viene cliccato,
- con quali elementi della pagina si interagisce,
- su quali pagine ci si ferma a lungo e quali invece generano solo visite di passaggio.
Queste sono le metriche veramente essenziali su cui oggi Google si basa per premiare i contenuti di valore.
Non per niente con Google Analytycs 4 i segnali di interazione sono diventati ancora più determinanti, al punto di veder comparire la nuova metrica del “coinvolgimento dell’utente”.
Sfasciare i tuoi articoli “scrivendoli in ottica SEO” ti servirà solo a disintegrare la loro leggibilità. Il comportamento dei tuoi utenti non farà altro che palesare a Google quanto pessimi questi siano.
Credimi, lascia perdere, non è così che funziona.
E quindi, come si fa a scrivere per posizionarsi su Google?
La risposta in realtà è facile.
Devi scrivere per gli essere umani, non per Google.
Devi scrivere contenuti che siano davvero interessanti da leggere, coinvolgenti, utili, ricchi di informazioni. E devono essere più ricchi, più utili e più fighi di tutti quelli già presenti – che no, non vuol dire più lunghi.
Lo so, lo so, ti sento già protestare.
Eh, la dici facile, ma in pratica? Come faccio a creare contenuti pazzeschi e che si posizionino bene su Google?
Non temere, giovane padowan. C’è qualcosa che bolle in pentola, pensato proprio per aiutarti a far vedere a Google quello che scrivi.
Tu continua a seguirmi, ti assicuro che ne riparleremo.
Se invece non stai nella pelle e vuoi metterti subito all’opera, sai dove trovarmi.