Il dominio di Gmail
Cambiare indirizzo email è una vera seccatura, almeno quanto cambiare il numero di telefono. Per inerzia, per pigrizia, per comodità, per non rischiare di perdere nessuna comunicazione importantissima, si sarebbe potuto pensare che i primi popolari servizi di webmail sarebbero rimasti tali per sempre: chi te lo fa fare di cambiare indirizzo?
Semplice, Google. Prima dell’avvento del suo servizio di posta elettronica quel mondo era dominato da servizi come Hotmail, Yahoo Mail e AOL Mail. Ora le cose sono completamente diverse: praticamente tutti hanno un account Gmail. In tutto, gli iscritti al servizio sono più di un miliardo, laddove Outlook.com, l’erede di Hotmail, si ferma a 400 milioni, e fa ancora peggio Yahoo Mail, arroccato a 280 milioni di utenti. Entrato a gamba tesa nel panorama della posta elettronica, il servizio di Google ha spiazzato tutti i concorrenti, imponendo fin da subito la sua linea: arrivato per ultimo, il lancio di Gmail ha infatti costretto tutti gli altri a fare i salti mortali per mantenere stretta la propria fetta di mercato.
All’inizio fu una burla
Per il pubblico, tutto inizia il primo aprile del 2004, quando con un comunicato stampa Google annuncia il lancio di Gmail: si prometteva un servizio e-mail con tanto di possibilità di ricerca, e con addirittura 1 GB di spazio gratuito per memorizzare i propri messaggi. Tutti pensarono ad una burla: l’azienda di Mountain View non era di certo nuova a questo tipo di umorismo. Tra i pesci di aprile più famosi di Google si possono ricordare quello dell’algoritmo di ricerca comandato da una schiera di piccioni (il sofisticatissimo PigeonRank) e l’annuncio di una nuova stazione di ricerca targata Google sulla Luna. Suvvia, doveva per forza essere l’ennesimo scherzone di quei cervelloni: com’era possibile offrire gratuitamente uno spazio di archiviazione 500 volte più grande di quello messo a disposizione gratuitamente da Hotmail? Lo scetticismo fu generale. Eppure era tutto vero: di fatto, anche se quasi nessuno lo aveva capito, era appena stata lanciata la prima cloud-based app in grado di rimpiazzare i più convenzionali software per Pc. Di fatto, il gran parlare che si fece intorno al lancio di Gmail oscurò il fatto che, attraverso dei servizi a pagamento, anche i concorrenti Yahoo e Hotmail offrissero capacità di storage quasi altrettanto performanti.
La rivoluzione di Gmail
Forse adesso non riusciamo a comprendere, o a ricordare, quale sia stata la portata rivoluzionaria del lancio di Gmail: per rendersene conto basta però leggere quanto dichiarato scherzosamente da uno dei fondatori di Google, Larry Page, in occasione dell’annuncio. «Una ragazza si lamentava perché passava gran parte del suo tempo a riordinare i messaggi e a cercare di ripescarli nella casella di posta. E quando non doveva far questo si dedicava a cancellare le mail come una pazza, per non sforare il limite dei 4 Megabyte di spazio. Cosi ci ha chiesto: voi ragazzi non potete risolvere questo impiccio?». E lo hanno fatto, eccome. Di certo non fu un lavoro facile, né veloce: il tutto richiese un lavorio intenso durato tre anni, portato avanti prima da una sola persona – Paul Buchheit – per poi arrivare ad una dozzina di sviluppatori poco prima dell’effettivo lancio di Gmail. Oltre all’enorme possibilità di memorizzazione, il servizio offriva un servizio di ricerca degno di Google (che oggi diamo per scontato, ma allora era una vera novità) e un’innovativa organizzazione delle email in conversazioni: nemmeno quest’ultima fu una cosa di poco conto.
Il lancio di Gmail
Tutte queste incredibili e nuove potenzialità potevano bastare per soffiare via il primato ai colossi della comunicazione digitale come Hotmail e Yahoo? Forse sì, forse no: probabilmente, non in tempi così stretti. A contribuire molto al successo del nuovo servizio Google fu il modo attraverso il quale venne fatto il lancio di Gmail. Nessun’altra campagna marketing avrebbe potuto fare di meglio, anche se, va detto, non tutto fu dettato da velleità promozionali.
Bisogna infatti sapere che, al momento del lancio, il servizio non era ancora del tutto pronto: semplicemente Google non aveva una capacità server sufficiente a garantire l’accesso a Gmail a milioni di persone. La decisione fu quindi quella di distribuire degli account a qualche centinaio di persone, le quali a loro volta avrebbero potuto invitare un numero limitato di amici. Quella che era una mossa quasi disperata per lanciare sul mercato un prodotto ancora in fasce divenne una delle migliori strategie di marketing mai usate nella storia dell’high tech: l’esclusività insita nell’iniziale lancio di Gmail creò uno stato di frenesia eccezionale negli utenti. Era un prodotto formidabile, certo. Ma soprattutto lo potevano avere in pochi, pochissimi.
Il potere dell’esclusività nel lancio di un prodotto
Dopo alcuni giorni dal lancio, poche migliaia di persone nel mondo avevano accesso a Gmail. Tutti gli altri, di fatto, rosicavano. E non poco: si arrivò perfino a vendere su eBay degli inviti a Gmail – un servizio gratuito e ancora in versione Beta – a 150 dollari, tale era la smania di poter entrare in questo gruppo esclusivo. E questa è una grandissima lezione per chi vuole lanciare sul mercato il proprio prodotto e fare scintille: se un oggetto, o un servizio, si presenta come esclusivo e limitato, diviene automaticamente più desiderabile.
È l’ultimo biscotto rimasto nel piatto. Moltissime campagne marketing sfruttano questo principio basilare, declinandolo in molte varianti: pensiamo ai lanci promozionali che prevedono prezzi scontati solamente per i primissimi giorni, o unicamente per i primi 1000 acquisti. È una corsa all’oro: se non ne approfitti tu e subito, lo farà qualcun altro, e tu potresti restare a bocca asciutta. A questo c’è da aggiungere il bisogno tutto umano di far parte di una comunità, possibilmente della migliore possibile: Google non affidò i primi account a persone a caso, ma a dei top influencer, ovvero a gente che detta i gusti e le mode per le masse. A quel punto, per le persone maggiormente affette da questa patologia ‘communitaria’ avere un account Hotmail o Yahoo Mail era diventato praticamente un fatto imbarazzante: significava essere ancora fuori da un club esclusivo e di tendenza. Nel tempo l’accesso a Gmail divenne più semplice: dapprima vennero aumentati gli inviti possibili per ogni utente, e poi, una volta raggiunta una buona fetta di mercato, l’iscrizione al servizio divenne completamente libera, esattamente il giorno di San Valentino del 2007. Solo nel 2009, invece, il logo di Gmail si liberò di quello che ormai era diventato il suo punto d’orgoglio, ovvero la targhetta della versione ‘beta‘. Lo stesso Larry Page ammise che utilizzare l’etichetta ‘beta’ per così tanto tempo fu più un’azione legata al branding che ad una precisa necessità tecnica.
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La rincorsa di Yahoo Mail e Hotmail
Ovviamente Gmail non raggiunse in tempi brevi il numero di utenti che può vantare al giorno d’oggi. Nel 2007, anno in cui l’iscrizione al servizio divenne libera, il numero dei suoi utenti totali era ancora fermo a 51 milioni. Il mercato era dunque ancora dominato da Yahoo Mail, con 250 milioni di iscritti, e da Hotmail, che seguiva a ruota con 228 milioni di utenti. La frenesia causata dal lancio di Gmail non era quindi giustificata? La realtà, analizzando i fatti, è che lo spopolare di Gmail fu in qualche modo frenato dalla rincorsa dei concorrenti. La risposta di Yahoo e Hotmail fu infatti piuttosto veloce: sempre nel 2007, laddove Gmail era arrivato ad 2,8 GB di storage gratuito, Hotmail ne offriva similmente 2, e Yahoo rilanciava con lo spazio illimitato per gli utenti business. Insomma, guardando ai numeri attuali, si può capire che la disfatta di Yahoo Mail e Hotmail non è stata totale come la si poteva prefigurare: in sostanza, infatti, i due colossi sono stati in grado di mantenere buona parte dei propri clienti, pur con qualche affanno.
Le controversie sulla scansione delle email a fini pubblicitari
Di certo il lancio di Gmail non fu del tutto scevro da critiche, anche pesanti: un prodotto talmente performante e allo stesso tempo gratuito, infatti, doveva però pur trovare, in qualche modo, dei mezzi di sostentamento. La soluzione trovata fu quella di scansionare i testi delle email degli utenti, così da estrapolare delle parole chiave per indirizzare al cliente advertising su misura. Di certo Gmail non era il primo servizio di posta elettronica ad analizzare le email: molti altri facevano lo stesso, ma con obiettivi diversi. Se infatti lo scopo di Google era quello di monetizzare un servizio gratuito, i concorrenti ‘leggevano’ i testi dei propri utenti al fine di separare dalla posta importante quello che veniva definito come spam o virus. Ovviamente questo aspettò non andò giù a nessuno degli strenui difensori della privacy.
Gli stessi sviluppatori Google, del resto, erano in parte dubbiosi: come ricorda Georges Harik, «all’inizio non capivamo se questa cosa potesse essere percepita come una violazione della privacy, o se lo fosse veramente: decidemmo che sarebbe stato un problema di percezione». Quelli di Gmail, dunque, erano pronti a raccogliere ed affrontare le critiche. In molti puntarono il dito sulla possibilità di ritrovarsi di fronte delle pubblicità del tutto inappropriate – come per esempio l’advertising di un prodotto farmaceutico legato ad uno scambio di email sul tema suicidio. Per lo più, però, le persone erano preoccupate per gli ulteriori utilizzi che Google avrebbe potuto fare delle e-mail: le avrebbe conservate? Per quanto, e a quali scopi? Appena cinque giorni dopo il lancio di Gmail, Google ricevette una lettera firmata da 31 organizzazioni e avvocati in cui si deprecava questa scelta: «scansionare le comunicazioni personali in questo modo significa lasciare il proverbiale genio fuori dalla lampada», ovvero lasciar accadere l’irreparabile.
L’allora senatore della California Liz Figueroa arrivò perfino a definire Gmail come «un disastro di enormi proporzioni, per Google stesso e per tutti i suoi clienti». Da parte sua, l’azienda di Mountain View ascoltò tutte le critiche, e rispose in tre modi: fin da subito le politiche seguite dall’advertising di Gmail furono rese pubbliche e facilmente consultabili; in secondo luogo, le opinioni dei giornalisti che dichiaravano che tali polemiche fossero ridicole furono evidenziate con ogni mezzo; infine, vennero respinte nettamente tutte le critiche più aspre, bollandole come opinioni irresponsabilmente esposte da persone che non avevano mai nemmeno provato Gmail. Come dichiarò infatti l’azienda in un comunicato stampa di poco posteriore al lancio di Gmail, «ogni volta che leggiamo nuove storie su Gmail, troviamo regolarmente degli errori fattuali e totalmente fuori dal contesto. La disinformazione su Gmail ha invaso il web».
Conclusioni
Prima del lancio di Gmail, Google era poco più di un motore di ricerca: il migliore, certo, ma lontano anni luce dall’essere il portale onnicomprensivo che conosciamo oggi. Intorno al suo rivoluzionario servizio di posta elettronica è infatti nato un intero ecosistema, un ambiente di lavoro dal quale nessuno degli utenti può sentire la necessità di uscire: tutto si incastra, l’integrazione è totale.
E il bello è che, nonostante i cambiamenti intercorsi nel web nell’ultimo decennio, Gmail è rimasto praticamente uguale: chiunque lo abbia usato nel 2004 saprebbe usarlo senza alcun problema anche nella versione attuale.
In definitiva, questo preciso prodotto Google ha sfondato il mercato grazie a due principali fattori: l’insuperabilità del servizio gratuito e l’esclusività insita, per varie ragioni, nel lancio di Gmail, la quale ha offuscato i servizi simili proposti (prima a pagamento, poi gratuiti) dai concorrenti. Quasi nessuno ha infatti potuto resistere all’attrazione di quella proposta di marketing, la quale ha saputo innalzare il valore del prodotto ben oltre le sue – per quanto strabilianti – qualità.
Di certo da questo lancio prodotto c’è molto da imparare: bisogna però sottolineare che queste tecniche di persuasione, come il riferimento all’esclusività e alla limitatezza dell’occasione, devono essere accompagnate da un prodotto altrettanto entusiasmante. Il limite tra la furbizia e la furberia, si sa, è labile.