Una ricerca basata su oltre 7 milioni di sessioni mostra che gli utenti provenienti da ChatGPT, Copilot, Gemini e Perplexity trascorrono più tempo sui siti rispetto a quelli di Google
📌 TAKE AWAYS
- Dall’analisi di oltre 7 milioni di sessioni emerge che il traffico generato da ChatGPT, Copilot, Gemini e Perplexity presenta una durata media della sessione superiore rispetto a Google.
- Sebbene il traffico proveniente dai chatbot IA rappresenti ancora una piccola frazione rispetto a Google, il suo tasso di crescita è significativo.
- Mentre Google Search tende a portare gli utenti direttamente a pagine di prodotto o di contenuto specifiche, i chatbot IA favoriscono le home page.
Il traffico generato dai chatbot IA come ChatGPT, Copilot e Perplexity sta crescendo rapidamente e mostra un coinvolgimento maggiore rispetto a Google, con sessioni più lunghe e più pagine visitate.
Tuttavia, sebbene l'80% del traffico IA sia transazionale e orientato all'e-commerce, resta ancora una frazione rispetto a Google, ma il potenziale futuro è innegabile...
Quante volte ti sei ritrovato a fissare le dashboard di Google Analytics, sperando in un miracolo? Traffico che ristagna, conversioni che latitano, e tu lì a chiederti se stai sbagliando tutto, se la SEO è morta, se forse è meglio darsi all’ippica. E poi, all’improvviso, l’illuminazione: i chatbot IA! ChatGPT, Gemini, Copilot, Perplexity…
Ma la domanda che ti assilla, quella vera, è sempre la stessa: questo traffico dai chatbot, converte davvero? O è solo l’ennesima moda passeggera?
È quello che vedremo oggi, grazie a una ricerca di Growt Memo, newsletter che si occupa di marketing digitale, per capire se questo benedetto traffico IA è davvero così vantaggioso o se, invece, è meglio continuare con la “vecchia cara” SEO su Google.
Preparati, perché i risultati potrebbero stupirti, e forse anche farti arrabbiare un po’. Ma bando alle ciance, iniziamo subito, che qui siamo tra gente che fa business, non chiacchiere da bar sport.
I Chatbot IA sono i nuovi sovrani del traffico transazionale?
Se mastichi un po’ di marketing digitale, il nome di Kevin Indig non ti suonerà nuovo. Come forse saprai, è un consulente di startup molto autorevole e la sua newsletter Growth Memo è molto seguita nel settore del digital marketing.
Bene, Kevin è uno che non le manda a dire e si è messo in testa di capire se questa storia del traffico dai chatbot IA sia bufala o realtà. E per farlo, non si è mica accontentato di chiacchiere da corridoio, no.
Nella sua analisi, pubblicata il 10 febbraio 2025, ha analizzato oltre 7 milioni di sessioni provenienti da ChatGPT, Copilot, Gemini e Perplexity (dati forniti da Similarweb) e le ha confrontate con il traffico di Google Search, negli Stati Uniti, tra settembre e novembre 2024.
Aspetta però, prima di creare facili entusiasmi mi pare corretto riportarti le sue parole, quasi un disclaimer:
Ragazzi, calma. Il traffico dai chatbot IA è ancora una goccia nell’oceano rispetto a Google. Però, attenzione, perché quella goccia sta crescendo a un ritmo forsennato, e potrebbe diventare uno tsunami nel giro di pochi anni. Quindi, meglio capire subito di che si tratta, no?
Kevin Indig
I soliti noti (Amazon ed eBay) conquistano anche l’IA?
Partiamo dalle basi, dalle cose che già conosciamo. Nel suo studio, Kevin ha analizzato le prime 10 landing page più trafficate dai chatbot IA, e cosa ha scoperto? Che circa l’80% di questo traffico (transazionale, eh, mica chiacchiere) finisce su siti e-commerce.
E indovina un po’ chi sono i protagonisti? Amazon, eBay, Walmart. I soliti noti, insomma, quelli che dominano Google Search da anni. Un déjà-vu? Sembrerebbe di sì.
E qui sorge spontanea una domanda un po’ inquietante: se i chatbot IA, per rispondere alle domande degli utenti, si basano sui risultati di ricerca (un po’ come farebbero dei bravi studenti che copiano dal compito del secchione), non rischiamo di ritrovarci sempre con gli stessi vincitori?
Amazon che vince su Google, Amazon che vince su ChatGPT, Amazon che vince ovunque?
Forse all’inizio è così, osserva Indig, ma gli utenti fanno domande più lunghe e complesse ai chatbot, hanno conversazioni più articolate. Questo potrebbe permettere ai chatbot di sviluppare i loro ‘fattori di ranking’, di andare oltre la semplice lista di link di Google.
Insomma, non è detto che la torta del traffico IA venga divisa sempre tra gli stessi commensali. Ma per ora, la musica sembra essere quella.
Chi vince tra Chatbot IA e Google? Non è chi ti aspetti
Veniamo al dunque, alla domanda da un milione di dollari: questo traffico dai chatbot IA, è di qualità? Converte meglio di quello di Google?
Per rispondere, Indig ha preso due metriche semplici ma efficaci: la durata della sessione e il numero di pagine viste per sessione. Più un utente passa tempo su un sito e naviga tra le pagine, più è probabile che sia interessato all’acquisto, no? Un po’ come quando entri in un negozio: se stai mezz’ora a guardare la vetrina, è più probabile che compri qualcosa rispetto a uno che entra, dà un’occhiata veloce e scappa via.
E qui, sorpresa (ma forse neanche tanta): il traffico dai chatbot IA batte quello di Google a mani basse in termini di engagement. In media, un utente proveniente da un chatbot IA si ferma su un sito un minuto e mezzo in più rispetto a uno che arriva da Google.
Il campione indiscusso? Copilot, con una sessione media di ben 11,6 minuti! La media dei chatbot IA si attesta sui 10,4 minuti, contro gli 8,1 minuti di Google. Non male, eh?
E non è finita qui. Questi utenti “chatbot-dipendenti” non solo passano più tempo sui siti, ma visitano anche più pagine: in media 12,4 pagine contro le 11,8 di Google. Poca differenza? Forse. Ma se consideri che stiamo parlando di milioni di sessioni, anche piccole differenze percentuali fanno la differenza.
Però, calma l’euforia… Non è che magari questo engagement è dovuto solo al fatto che il traffico dei chatbot è ancora “nuovo”, una moda del momento?
Beh, Kevin ha analizzato i dati mese per mese, e ha scoperto che, tra settembre e ottobre 2024, le pagine viste da utenti provenienti da Copilot e Perplexity sono cresciute più velocemente rispetto a Google: +15% e +22% contro il +5% di Google.
Gemini e ChatGPT, invece, hanno visto un calo, ma è comprensibile vista la loro crescita di traffico vertiginosa. Insomma, sembra che l’engagement dei chatbot IA non sia solo un fuoco di paglia, ma una tendenza solida.
E qui, un’altra piccola sorpresa: Copilot batte Perplexity in termini di engagement, nonostante Perplexity abbia lanciato una funzione e-commerce specifica (“Shop with Pro”) e sia più “gettonato” (21 milioni di visite a dicembre contro i 14 di Copilot).
Come mai? Forse perché Microsoft sta spingendo Copilot su tutti i suoi dispositivi e software, rendendolo più accessibile e “naturale” per gli utenti… Dici che sono troppo malizioso? Quello che è certo è che la gara tra i chatbot IA è appena iniziata, e le sorprese non mancheranno.
L’IA ama la tua home page più di Google
Ma dove atterra questo traffico “illuminato” dai chatbot IA? Kevin ha analizzato la “profondità di cartella” delle URL di destinazione, ovvero quanti “slash” ci sono dopo il dominio (più slash, più la pagina è “profonda” nell’architettura del sito).
E qui è emerso un altro dato interessante: i chatbot IA mandano più traffico alla home page rispetto a Google. ChatGPT, in particolare, manda oltre il 50% di traffico in più alla home page rispetto a Copilot e Perplexity, e tre volte tanto rispetto a Google Search!
Solo i chatbot IA mandano traffico a pagine con una profondità di cartella elevatissima (livello 8), segno che forse sarebbero capaci di spingersi ancora più in profondità se i siti avessero architetture più complesse.
In media, i chatbot IA mandano il 22% del traffico alla home page, contro il 10% di Google. Perché questa differenza? Kevin ipotizza che i chatbot IA siano più bravi a “qualificare” gli utenti prima di mandarli su un sito, a capire cosa stanno cercando veramente.
E la home page, spesso, è il punto di partenza ideale per un utente che sta esplorando un nuovo brand o un nuovo prodotto.
“Nel vecchio mondo della SEO su Google,” spiega Adelle Kehoe di Similarweb, “eravamo ossessionati dalla velocità di caricamento delle pagine: ogni secondo guadagnato, più conversioni. Con l’IA sembra andare controcorrente: l’IA pre-qualifica gli utenti, e questi sono disposti a passare più tempo sui siti”.
Quindi, forse è ora di ripensare il ruolo della tua home page, che dici? Non più solo una vetrina statica, ma un vero e proprio hub, un centro nevralgico per accogliere i visitatori provenienti dal futuro, dall’IA. E dimentica quella vecchia ossessione di mandare tutti alle “pagine prodotto” più profonde: a volte, la semplicità e l’immediatezza della home page possono fare la differenza, soprattutto agli occhi di un chatbot IA.
Ok, ma a questo punto mi sorge un dubbio: i miei colleghi, la comunità SEO, chi lavora nel digital marketing, si è reso conto di questa tendenza? Stiamo lavorando per ottenere visibilità anche sui chatbot IA e sui nuovi “motori di risposta” come AI Overviews, ChatGPT, Gemini e compagnia?
Contenuti che costano sempre di più, ma nessuno sa dove investire…
In che direzione sta andando il marketing digitale? Per comprenderlo, ci aiuta un’interessantissima ricerca di Siege Media, una di quelle agenzie americane che nel mondo del SEO e del content marketing contano parecchio.
Hanno intervistato 272 tra manager e direttori del settore, quelli che decidono i budget e le strategie, per capire come si muoverà il mercato nel 2025. E quello che è venuto fuori è un quadro a dir poco sorprendente, un mix di ottimismo e confusione che dovrebbe farti drizzare le antenne, soprattutto se hai un sito web e ci fai business online.
Partiamo dalla buona notizia, se così vogliamo chiamarla: i soldi per il content marketing aumentano. L’11,3% dei marketer prevede di spendere oltre 45.000 dollari al mese in contenuti.
Pensa, nel 2024 erano solo il 4,1%. Un bel salto, no? Sembra che le aziende abbiano capito che i contenuti sono fondamentali per farsi trovare online, per costruire la propria immagine, per vendere di più. E questo, in teoria, dovrebbe farci piacere. Più investimenti, più opportunità, più lavoro per tutti.
Ma c’è un “ma” grosso come una casa, anzi, come un grattacielo. Perché, se da un lato i budget crescono, dall’altro aumenta anche l’incertezza. Il 66,5% dei marketer intervistati, udite udite, non ha la minima idea di dove investire al meglio questi soldi. Capito? Soldi a palate, ma nessuno sa come spenderli in modo efficace. È come avere un Ferrari fiammante e non sapere dove mettere la benzina. Assurdo, vero?
E perché tutta questa confusione? Beh, i motivi sono tanti, ma uno su tutti spicca: l’intelligenza artificiale. Sì, ancora lei, la grande protagonista (grande incompresa, e mal utilizzata) del marketing digitale.
IA sì, IA no, IA forse: il dilemma amletico dei contenuti online
L’intelligenza artificiale è dappertutto, lo sappiamo. Anche nel content marketing, ovviamente. Ci sono tool per scrivere testi, per creare immagini, per fare analisi, per ottimizzare i contenuti per i motori di ricerca. Una vera e propria rivoluzione, o almeno così ci avevano detto. Ma la realtà, come spesso accade, è un po’ più complessa.
Secondo Siege Media, solo il 21,5% di chi usa l’IA nel content marketing pensa che la propria strategia sia inefficace. Tra chi invece non la usa, la percentuale sale al 36,2%. Quindi, sembrerebbe che l’IA dia una mano, che aiuti a migliorare le performance. Almeno sulla carta.
Però, c’è un però anche qui. Perché, se è vero che l’IA può essere utile, è anche vero che non è la panacea di tutti i mali. Anzi, a volte rischia di essere più un problema che una soluzione. Quanti contenuti di bassa qualità, generati in massa dall’intelligenza artificiale, stanno invadendo il web? Migliaia, milioni? E che risultati portano? Spesso, zero. Anzi, a volte peggiorano la situazione, penalizzando i siti che li pubblicano.
Google, d’altronde, non è mica scemo. Ha capito subito il trucco e ha affilato le armi. I suoi algoritmi sono sempre più bravi a riconoscere i contenuti “spazzatura”, quelli creati solo per fare numero, senza valore aggiunto per l’utente. E li punisce senza pietà, facendoli sparire dalle prime pagine dei risultati di ricerca.
E qui arriviamo a un altro punto fondamentale della ricerca di Siege Media: il ranking, ovvero la capacità di un contenuto di posizionarsi bene su Google. È ancora il problema numero uno per i content marketer: il 77,6% lo indica come la principale fonte di frustrazione.
Subito dopo, con il 70,6%, c’è la difficoltà di soddisfare l’intento di ricerca degli utenti, ovvero di capire cosa vogliono davvero le persone quando cercano qualcosa su Google e di darglielo nel modo giusto.
Traffico in crescita, ma zero-click all’orizzonte
E il traffico, come va? Sorpresa: il 62,8% dei marketer intervistati da Siege Media dichiara di aver visto un aumento del traffico tra il 2024 e il 2025. Una bella notizia, no? Sembrerebbe che, nonostante tutto, i siti web continuino a ricevere visite, che le strategie di content marketing funzionino.
Ma non cantar vittoria troppo presto. Perché c’è un’altra tendenza preoccupante che si sta facendo strada: il zero-click marketing. Di cosa si tratta? Semplice: sempre più ricerche su Google non portano a un click, come ti ho già spiegato qui. Il 58,5%, per essere precisi, secondo i dati citati da Siege Media.
Tieniti forte: quasi sei ricerche su dieci finiscono lì, senza che l’utente clicchi su nessun risultato organico.
Perché succede questo? Beh, i motivi sono vari. Google sta diventando sempre più bravo a dare risposte direttamente nella SERP, con i featured snippet, le knowledge graph, le AI Overviews. E poi ci sono i social media, le app, le altre piattaforme che “rubano” traffico ai siti web.
Quindi, cosa fare? Semplice (si fa per dire): bisogna imparare a fare zero-click marketing. Ovvero, offrire valore agli utenti anche senza che clicchino sul tuo sito. Come? Creando contenuti che rispondano direttamente alle domande, che diano informazioni utili, che intrattengano, che facciano branding, anche se l’utente non arriva sulla tua pagina.
Un esempio? Pensa ai video di YouTube, ai post sui social media, ai podcast, alle newsletter, alle infografiche. Sono tutti formati di contenuto che possono raggiungere il tuo pubblico anche senza passare per il sito web. E in un mondo in cui i click sono sempre più rari, questa è una competenza fondamentale.
Un altro fatto interessante che emerge da questo sondaggio? Cresce l’interesse per una link building di qualità, ovvero ottenere link in modo naturale, grazie alla qualità dei contenuti, alle digital PR, alle relazioni con i media. Una strategia più difficile, certo, ma anche più sostenibile e più efficace nel lungo periodo.
E i contenuti interattivi, quelli che vanno tanto di moda da qualche anno? Sembra che stiano perdendo smalto. Solo il 36,4% dei marketer li utilizza, in netto calo rispetto al 62,3% del 2024. Forse perché sono troppo costosi, troppo complessi da realizzare, troppo difficili da misurare in termini di ROI.
Marketing digitale 2025: è arrivato il momento di giocare sul serio
Insomma, se hai letto fin qui, avrai capito che il panorama del marketing digitale nel 2025 non è esattamente una passeggiata nel parco. Il content marketing è diventato un campo minato, sempre più complesso e incerto.
Eppure, paradossalmente, mai come ora è così vitale per il tuo business. Le aziende continuano a investire, certo, ma la domanda è: lo stanno facendo nel modo giusto?
Perché la verità, è che devi fare i conti con un ospite ingombrante: l’intelligenza artificiale. E con AI Overviews che riduce il tuo traffico organico e gli altri “motori di risposta AI” che ti erodono i click, le nuove strategie di zero-click marketing diventano imprescindibili.
Certo, il traffico dai chatbot AI è ancora una frazione infinitesimale rispetto al gigante Google, ma sta crescendo a una velocità impressionante. E soprattutto, questo traffico non è fuffa digitale, anzi! È un traffico di qualità superiore, utenti più coinvolti, più attenti, più propensi a convertire.
Quindi, quello che ti devi chiedere è: il tuo sito web è attrezzato per affrontare le sfide del 2025? Se la risposta è un timido “forse”, o peggio, un “non ci ho ancora pensato”, beh, è ora di svegliarti dal torpore.
Perché ignorare la rivoluzione dell’IA sarebbe un autogol clamoroso per il tuo business.
Il futuro del traffico online è sempre più “conversazionale”, sempre più nelle mani intelligenti (o quasi) delle intelligenze artificiali. Per questo devi imparare a parlare la loro lingua, a ottimizzare i tuoi contenuti non solo per Google, ma per il Deep Research di ChatGPT, Gemini, Copilot e la legione di chatbot e motori di ricerca alternativi.
Perché, che ti piaccia o no, il futuro è questo qui. Non perdere altro tempo prezioso, contatta la mia agenzia e comincia subito ad approfittare di queste opportunità.
Chatbot IA vs Google: Domande & Risposte
Il traffico proveniente dai chatbot IA è più coinvolgente rispetto a quello di Google?
Sì, secondo un’analisi basata su oltre 7 milioni di sessioni, gli utenti provenienti da ChatGPT, Copilot, Gemini e Perplexity trascorrono più tempo sui siti rispetto a quelli di Google. In particolare, la durata media della sessione dei chatbot IA è di 10,4 minuti contro gli 8,1 minuti di Google, con Copilot che raggiunge addirittura i 11,6 minuti.
I chatbot IA stanno diventando una fonte significativa di traffico transazionale?
Sebbene il traffico IA sia ancora una piccola percentuale rispetto a Google, sta crescendo rapidamente. Il 22% del traffico generato da Perplexity e il 15% da Copilot tra settembre e ottobre 2024 indicano un trend in crescita. Inoltre, l’80% delle sessioni IA riguarda siti e-commerce come Amazon, eBay e Walmart, dimostrando che il traffico generato dalle intelligenze artificiali ha un forte potenziale transazionale.
I chatbot IA portano traffico principalmente alle home page dei siti?
Sì, a differenza di Google, che indirizza più traffico direttamente alle pagine di prodotto o contenuti specifici, i chatbot IA mandano gli utenti principalmente alle home page. ChatGPT, per esempio, genera il 50% di traffico in più verso le home page rispetto a Copilot e Perplexity, e tre volte tanto rispetto a Google. Questo suggerisce che il traffico IA favorisce una navigazione più esplorativa dei brand.
Sinceramente, mi piace l’idea dei chatbot IA! Ho notato anch’io che quando uso ChatGPT, finisco per esplorare di più. Ma sarà solo una fase? O ci sarà davvero un cambiamento nel modo in cui ci approcciamo al marketing? 🤔
Cavolo, interessante!
Ehi, io mi diverto un sacco con i chatbot IA!
“Futuro promettente, eh?”
Ma quindi, questi chatbot IA ci stanno portando a scoprire di più! Qualcuno ha già provato a ottimizzare i suoi siti per loro?
Diciamo che se non lo hai ancora iniziato a fare non butta benissimo 😀