Big G chiarisce che ospitare contenuti di terze parti per manipolare i ranking ora viola direttamente la policy
📌 TAKE AWAYS
- Google ha aggiornato le sue politiche per colpire chi utilizza contenuti di terze parti per manipolare i segnali di ranking sfruttando l’autorevolezza di un dominio ospitante.
- La Parasite SEO non solo viola le linee guida, ma comporta penalizzazioni pesanti che possono influire su tutto il sito, trascinando verso il basso anche i contenuti di qualità.
- Con il Site Reputation Abuse, Google tratta sezioni o sottodomini di un sito come entità indipendenti. Se i contenuti sono considerati non pertinenti o manipolativi, non beneficeranno più dei segnali positivi del dominio principale.
Google ha aggiornato la sua politica contro l’abuso della reputazione dei siti, colpendo chi ospita contenuti di terze parti manipolativi per sfruttare i segnali di ranking del dominio. Le penalizzazioni includono azioni manuali, calo del traffico e trattamento indipendente delle sezioni incriminate.
Con un nuovo annuncio pubblicato il 19 novembre 2024, Google ha deciso di affrontare a muso duro uno dei problemi più insidiosi del mondo della SEO: l’abuso della reputazione dei siti, meglio noto come Parasite SEO.
Se ti occupi di un business online e stai cercando di mantenere la tua visibilità tra i risultati di ricerca, preparati, perché la nuova politica made in Mountain View potrebbe stravolgere i tuoi piani e obbligarti ad agire di conseguenza.
Questa volta, Google ha voluto chiarire un punto fondamentale: se sul tuo sito ospiti contenuti di terze parti per manipolare i segnali di ranking, non c’è scusa che tenga.
E no, non importa se hai un ruolo diretto nella supervisione o nella creazione di quei contenuti.
Il risultato, mi spiace, è lo stesso: hai violato la policy. Fine della storia.
Ma come si è arrivati a questo punto? Cosa si intende per Parasite SEO? E cosa sarebbe meglio fare da subito, per far fronte ai cambiamenti annunciati da Big G?
Un cambio di rotta (finalmente) chiaro
Il cuore della questione è semplice, ma le implicazioni sono profonde.
Big G definisce l’abuso della reputazione dei siti come “la pratica di pubblicare pagine di terze parti su un sito nel tentativo di manipolare i ranking di ricerca sfruttando i segnali del dominio ospitante”
Chris Nelson, del team Search Quality di Google, lo ha spiegato con grande chiarezza:
se fino a ieri qualcuno poteva ancora giustificarsi dicendo di essere direttamente coinvolto nella creazione di quei contenuti, ora questa scappatoia non esiste più.
Dopo aver analizzato numerosi casi reali, è emerso che nessun grado di coinvolgimento del proprietario del sito cambia la natura fondamentalmente manipolativa di queste pratiche. Non è una questione di forma, ma di sostanza: se stai sfruttando i segnali del tuo sito per promuovere contenuti che non appartengono davvero al tuo ecosistema, sei colpevole di abuso.
Reputation abuse: cosa rischia il tuo sito web?
Qui viene il bello, o meglio, il difficile. Non vorrei allarmarti, ma se il tuo sito ospita contenuti di terze parti che non sono direttamente collegati alla tua attività principale, potresti essere in pericolo.
Google ha iniziato a trattare alcune sezioni o sottodomini come entità indipendenti.
Ciò significa che, se hai una sezione del sito con contenuti troppo diversi da quelli principali, non beneficerai più della spinta derivante dalla reputazione generale del tuo dominio. Non stiamo parlando di una penalizzazione diretta, ma il risultato può essere altrettanto doloroso: un calo drastico del tuo traffico.
Glenn Gabe, autorevole esperto di SEO, in questo suo articolo, evidenzia come tale valutazione globale influenzi il posizionamento delle pagine, trascinando verso il basso anche i contenuti migliori, dimostrando che i segnali a livello di sito sono reali e rilevanti nelle decisioni di ranking di Google.
In parole povere, si tratta di un cambiamento nel modo in cui gli algoritmi valutano il tuo sito.
Immagina un sito educativo che ospita una sezione interamente dedicata a contenuti di marketing affiliato o coupon scontati. Anche se quei contenuti sono stati creati con il tuo coinvolgimento, non saranno più valutati in base alla reputazione complessiva del tuo sito.
Manco per sogno! Saranno trattati come se appartenessero a un’entità completamente diversa.
E sappiamo entrambi cosa questo significa per te: meno traffico, meno visibilità e, in ultima analisi, meno ricavi.
Google e l’abuso di reputazione: il caso emblematico di Sports Illustrated
Il problema non è nuovo. Già a marzo 2024, durante il core update di primavera, Google aveva annunciato l’introduzione di regole per combattere l’abuso della reputazione dei siti.
Tuttavia, questa politica iniziale lasciava spazio a interpretazioni ambigue, come ti dicevo già qui.
Molti proprietari di siti si sono aggrappati all’idea che, essendo coinvolti nella supervisione dei contenuti, fossero esenti da penalizzazioni. Google ha osservato questa zona grigia e, con il tempo, ha capito che doveva fare chiarezza, soprattutto in seguito ad alcuni oscuramenti ingiusti.
Negli ultimi mesi, esempi clamorosi hanno contribuito a mettere il tema sotto i riflettori. Il caso di Sports Illustrated è forse il più emblematico.
Come forse avrai sentito, il sito di questo storico periodico statunitense è stato accusato di pubblicare recensioni di prodotti generate da una società esterna, AdVon Commerce, utilizzando contenuti scritti con l’ausilio di intelligenza artificiale, come spiega bene The Verge.
Il tutto su una sezione del sito completamente scollegata dai suoi contenuti principali. Nonostante le giustificazioni del team editoriale, Google non ha voluto sentire ragioni e ha considerato l’operazione come un abuso evidente.
OK, ma cosa succede se Big G rileva un abuso di reputazione?
La crociata di Big contro l’abuso di reputazione: azioni manuali e algoritmi
Attualmente, la politica sull’abuso della reputazione viene applicata attraverso azioni manuali. Ciò significa che un team di persone in carne e ossa analizza i siti sospetti e decide se emettere una penalizzazione.
Per cui nessun algoritmo spietato e impersonale, ma esseri umani (non per questo meno “spietati”) che provvedono a penalizzare chi infrange le regole.
A questo punto scommetto che ti starai chiedendo: ma come funziona tutto ciò nella pratica?
Semplice: i proprietari dei siti colpiti ricevono una notifica su Google Search Console, con la possibilità di presentare una richiesta di riconsiderazione. Non è una novità, magari ti sarà già capitato (anche se spero di no), ma ciò che cambia è l’intensità con cui queste azioni saranno implementate.
Ah, un ulteriore fatto interessante che vorrei condividere con te, prima che me ne dimentichi:
parallelamente, Google sta perfezionando algoritmi che analizzano sezioni o sottodomini di un sito, trattandoli come entità separate. Questo approccio punta a garantire che contenuti manipolativi non ricevano un boost ingiusto grazie alla reputazione del dominio principale. Perciò, se una sottosezione del tuo sito è troppo diversa dal contenuto principale, verrà misurata indipendentemente.
Bada bene, però: non è una retrocessione ufficiale, anche se il risultato per il tuo traffico può essere ugualmente devastante.
La crociata che Big G sta conducendo contro l’abuso di reputazione va inquadrata in uno scenario più ampio: quello della Parasite SEO.
Ti ho accennato la questione nell’introduzione dell’articolo, ma ora voglio spiegarti cosa significhi più nel dettaglio.
Cos’è la Parasite SEO (spiegato semplice)
Immagina di voler scalare le SERP di Google senza passare anni a costruire l’autorevolezza del tuo sito, senza produrre contenuti di qualità o investire in una strategia di link building.
La soluzione? Appoggiarsi alla reputazione di qualcun altro, come un parassita, appunto!
La Parasite SEO, come suggerisce il nome, sfrutta l’autorità di un sito di terze parti per posizionare contenuti manipolativi, spesso del tutto scollegati dalla natura del sito ospitante.
Ma come funziona, spiegato semplice?
Un’azienda o un marketer individua un sito web con un’elevata autorità di dominio, spesso già ben posizionato nel settore di interesse. Attraverso accordi più o meno trasparenti, carica contenuti ottimizzati per determinate parole chiave transazionali.
L’obiettivo? Spingere il traffico verso il proprio sito, sfruttando la fiducia che Google accorda al dominio ospitante. Il risultato è automatico: un incremento immediato di visibilità e conversioni, senza sforzi significativi.
Facciamo un esempio. Immagina di gestire un e-commerce che vende miele. Invece di costruire un blog autorevole che parla di benefici nutrizionali o caratteristiche delle api, trovi un sito già ben posizionato nella tua nicchia e pubblichi un articolo intitolato “Dove comprare miele genuino al miglior prezzo”, con link strategici al tuo negozio. Il sito ospitante fa da “megafono”, amplificando la tua visibilità.
Sembra una tattica brillante, vero? Peccato che rientri tra le pratiche di black hat SEO, violando le linee guida di Google. Quando viene rilevata, porta a penalità, perdita di ranking e, nei casi peggiori, alla rimozione del sito dall’indice.
Per dirtela in poche parole: la Parasite SEO è il lato oscuro del marketing digitale, una strategia tanto seducente quanto pericolosa.
Può funzionare per un po’, ma quando vieni scoperto, la punizione è severa.
A questo punto la domanda però sorge spontanea: cosa c’è di diverso tra link building e Parasite SEO?
Molto semplice: la differenza sta nell’approccio e nella trasparenza.
La link building è una pratica legittima che prevede di ottenere backlink da siti terzi attraverso collaborazioni, contenuti di qualità o strategie di digital PR, sempre rispettando le linee guida di Google. Lo scopo è migliorare l’autorevolezza del tuo sito senza scorciatoie o trucchetti.
La Parasite SEO, invece, sfrutta direttamente l’autorità di un sito terzo, succhiando la sua energia vitale, pubblicandovi contenuti manipolativi o non correlati, privi di valore reale per gli utenti, con l’unico scopo di ottenere posizioni nei risultati di ricerca in modo ingannevole.
Chiaro, no? Ma non temere, se il concetto ti appare ancora un po’ fumoso, ecco qualche caso pratico per comprenderlo meglio.
Il Site Reputation Abuse: qualche caso pratico per capire meglio
Prima di concludere questo articolo con delle mie riflessioni e proposte, vorrei fornirti qualche elemento più concreto sull’abuso di reputazione, perché mi preme che la questione ti sia più chiara possibile (ne va davvero del tuo posizionamento e della visibilità del tuo sito web).
Eccoti quindi alcune delle pratiche più comuni che rientrano nel site reputation abuse: pagine di coupon e codici promozionali create da terzi, che non c’entrano nulla con il tema centrale del sito ospitante, oppure contenuti sponsorizzati che promuovono prodotti o servizi fuori contesto.
Non mancano esempi più estremi, come pagine di gioco d’azzardo ospitate su siti del tutto estranei al settore, contenuti affiliati di pessima qualità ideati solo per spingere traffico e raccogliere commissioni, guest post pieni di backlink spam, e persino pagine di prestiti lampo infilate nei siti universitari senza che i proprietari ne sappiano nulla.
Ma non è solo una questione di cosa, bensì di quando.
Nel marzo 2024, come forse ricorderai, Google ha annunciato con grande clamore la nuova politica contro l’abuso della reputazione del sito, dando ai proprietari due mesi di tempo per mettere ordine nei propri contenuti. È stato un avvertimento chiaro, ma a maggio le azioni manuali sono iniziate a colpire duro.
Ricordi? Persino giganti come CNN, USA Today, LA Times e Forbes sono finiti nel mirino, puniti per ospitare contenuti non pertinenti, come intere sezioni dedicate ai coupon, spesso gestite da fornitori esterni.
Alcuni editori, però, hanno saputo anticipare le mosse. Forbes, ad esempio, ha eliminato la sua sezione coupon prima ancora che Google iniziasse a infliggere penalizzazioni, dimostrando una comprensione strategica delle nuove regole.
Altri, come Post and Courier, hanno cercato di correre ai ripari dopo essere stati colpiti, aggiungendo tag noindex alle sezioni incriminate. Questi esempi mostrano quanto sia cruciale una gestione attenta e tempestiva dei contenuti di terze parti.
Tuttavia, una SEO esperta come Olga Zarr avverte, a ragion veduta, che restano delle zone grigie difficili da decifrare nella policy di Google sulla reputation abuse. Per esempio, contenuti di terze parti poco pertinenti o eccessivamente ottimizzati per le parole chiave rischiano di finire sotto il radar di Big G, anche se non esplicitamente manipolativi.
La lezione, per quanto mi riguarda, è chiara: rischiare, alla lunga, non conviene.
Come fare quindi per attrezzarsi e giocare d’anticipo senza rischiare penalizzazioni?
Altro che Parasite SEO: consolida il tuo business con link-building e digital PR!
A questo punto, la domanda è inevitabile: come proteggere il tuo sito?
Prima di tutto, devi concentrarti sulla coerenza e sulla qualità dei tuoi contenuti.
Google non è mai stato più chiaro: il contenuto deve essere autentico, utile e pertinente alla tua attività. Se ospiti contenuti di terze parti, assicurati che siano in linea con il tuo brand e che aggiungano valore reale agli utenti.
Inoltre, tieni sempre sotto controllo la tua Search Console. Le penalizzazioni manuali non arrivano mai senza preavviso. Se ricevi una notifica, intervieni subito e presenta una richiesta di riconsiderazione solo dopo aver risolto il problema alla radice.
Non aspettare che Google bussi alla tua porta con una manual action. Analizza il tuo sito, correggi le pratiche sbagliate e costruisci una strategia basata sulla qualità con il supporto di un consulente SEO.
Se gestisci un sito, è il momento di rivedere le tue strategie e concentrarti su ciò che conta davvero: offrire contenuti di valore, rispettare le regole e costruire un rapporto di fiducia con il tuo pubblico.
Chi si dedica alla Parasite SEO, cercando di prosperare sulle spalle degli altri, te l’ho detto, ha vita breve.
Pensa a una corsa in bici: c’è chi pedala con le proprie forze, costruendo passo dopo passo il proprio successo, e chi invece si piazza alle spalle di un altro ciclista, “succhiando la ruota”, come si dice in gergo, sfruttando la sua scia per avanzare senza fatica.
Questo è esattamente ciò che fa chi pratica Parasite SEO: approfitta dell’autorevolezza altrui per spingere i propri contenuti.
Ma ora sta a te decidere da che parte stare.
Preferisci essere tra quelli che lavorano con serietà, costruendo una rete di qualità, facendo networking sia offline che online, investendo nella reputazione del tuo sito, oppure optare per una scorciatoia che non porta lontano?
Non è più solo una questione etica: Google ha dichiarato guerra a chi gioca sporco. Se non vuoi finire fuori dai giochi, è il momento di attrezzarti con strategie come la link building e la digital PR.
Hai bisogno di aiuto per farlo? Contattami e ti mostrerò come costruire un percorso solido e duraturo.
Novità sull’abuso di reputazione: Domande & Risposte
Cos’è l’abuso della reputazione dei siti secondo Google?
Google definisce l’abuso della reputazione dei siti come la pratica di ospitare contenuti di terze parti per sfruttare i segnali di ranking del dominio ospitante, senza che questi contenuti siano pertinenti al tema principale del sito.
Quali sono le conseguenze dell’abuso della reputazione dei siti?
Le conseguenze includono penalizzazioni manuali da parte di Google, la perdita di traffico e visibilità, e il trattamento di sezioni del sito come entità separate, non più supportate dalla reputazione del dominio principale.
Come proteggere il proprio sito dalle penalizzazioni di Google?
È importante mantenere coerenza e qualità nei contenuti del proprio sito, evitare pratiche manipolative come la Parasite SEO e investire in strategie legittime come link building e digital PR.