Secondo un report del Boston Consulting Group, il nostro Paese è tra gli ultimi in Europa per adozione dell’IA. Il 40% non ha mai sperimentato questa tecnologia
📌 TAKE AWAYS
- Solo il 21% dei lavoratori italiani utilizza strumenti di intelligenza artificiale nel proprio lavoro, un dato che colloca il Paese agli ultimi posti in Europa.
- Secondo il Boston Consulting Group, il 26% dei lavoratori italiani ritiene che l’IA non cambierà il proprio settore e solo il 7% teme di essere sostituito.
- Nonostante l’attuale scarsa diffusione dell’IA, il 63% dei lavoratori italiani si dichiara disponibile a seguire corsi di aggiornamento per acquisire competenze nell’intelligenza artificiale.
In Italia l’intelligenza artificiale stenta a decollare: solo un lavoratore su cinque la utilizza e molti la sottovalutano, ignorando le opportunità che offre.
Senza formazione e reskilling, il rischio è restare indietro mentre il resto del mondo corre.
E lo stesso vale per la SEO...
Solo un lavoratore italiano su cinque utilizza l’IA. Questo è quanto emerge da una ricerca del Boston Consulting Group (BCG).
Quando ho letto questo dato, riportato anche da Il Sole 24 Ore, confesso, ho pensato che si trattasse di un errore di battitura. Invece, approfondendo l’analisi, ho compreso come questo numero sia la spia di un problema molto più ampio, una sottovalutazione diffusa di una tecnologia che sta rapidamente trasformando il mondo del lavoro.
Pensa che secondo l’Implement Consulting Group, l’IA generativa potrebbe far crescere il PIL del Belpaese dell’8% in dieci anni (tra 150 e 170 miliardi di euro ogni anno)!
In questo articolo ti parlerò quindi del rapporto tra l’IA e il nostro mondo del lavoro e delle implicazioni che tutto questo ha sul tuo lavoro quotidiano. Ti racconterò cosa ho scoperto confrontando sondaggi e analisi di settore, e come l’Intelligenza Artificiale sta cambiando, in particolare, il lavoro del SEO.
Ma prima vediamo precisamente i dati pubblicati dal BCG.
IA e mondo del lavoro italiano: storia di un amore non ancora sbocciato
La ricerca del BCG intitolata “Decoding Global Talent 2024“, ha analizzato 150.000 lavoratori tra i 20 e i 40 anni in 188 paesi, Italia compresa, e i risultati sono sconcertanti.
Sembra che i lavoratori italiani non siano particolarmente preoccupati dall’impatto dell’IA sul loro lavoro. Anzi, un buon 26% ritiene che l’IA non cambierà nulla.
E solo un misero 7% ha paura di essere rimpiazzato. Il restante 49%? Beh, si aspetta qualche cambiamento, ma con un atteggiamento che sa tanto di “vedremo”. Sinceramente, a me viene un brivido a leggere questi dati. E a te?
Questa calma apparente è il frutto di una sottovalutazione colossale dell’intelligenza artificiale, come ci avverte Matteo Radice, Managing Director e Partner di BCG in Italia:
Chi sottovaluta l’intelligenza artificiale rischia di perdere un’opportunità. Gli HR manager dovrebbero assumere un ruolo proattivo nell’informare e formare le persone, anche su competenze trasversali come problem solving e utilizzo di tecnologie innovative. L’IA può automatizzare alcune attività, specie le più ripetitive che non generano valore aggiunto e migliorarne altre.
Matteo Radice
E prima lo capiamo, meglio è, aggiungo io. E tu, cosa ne pensi? Non credi che sia arrivato il momento di iniziare a prendere sul serio questa faccenda?
L’Italia, maglia nera d’Europa: uno spreco che non possiamo permetterci
Ma non finisce qui. Perché i dati peggiorano a mano a mano che scendiamo nel dettaglio. Preparati a prendere appunti con la penna rossa: solo il 21% dei lavoratori italiani ha adottato in modo strutturato strumenti di IA nel proprio lavoro. Uno su cinque! Praticamente più di un terzo della forza lavoro italiana è ferma al palo, ignorando le infinite possibilità che questa tecnologia offre.
Nazioni come India e Pakistan, invece, stanno correndo a rotta di collo verso l’innovazione. Mentre noi?
Ci troviamo a fare compagnia ai paesi del Medio Oriente nella classifica di chi usa meno l’IA. Un paradosso assurdo, non trovi? Ma da cosa deriva questa disattenzione? Per me da una scarsa consapevolezza e informazione oltre al fatto che il mondo del lavoro italiano non è giovane e rimane ancorato a pratiche del passato. Un fatto imperdonabile, specialmente se si vuole competere globalmente.
Aggiungiamoci la miopia delle istituzioni che non incentivano le nuove tecnologie in azienda.
Insomma, un mix di pigrizia, disinformazione e un pizzico di presunzione, direi. Siamo un po’ troppo convinti che la nostra routine quotidiana sia immune al cambiamento. Ma questa, come dovresti sapere, è una pia illusione.
Il reskilling: la tua arma segreta (se usata bene)
Non tutto è perduto, però. C’è una speranza, una piccola luce in fondo al tunnel: il 63% dei lavoratori italiani si dice disposto a intraprendere percorsi di reskilling per apprendere nuove competenze.
Un dato incoraggiante, sulla carta, ma che deve tradursi in azioni concrete. Il reskilling non è una bacchetta magica. Serve un piano preciso, una strategia ben definita e, soprattutto, un cambio di mentalità.
Gli HR manager, in questo senso, devono essere lungimiranti, offrendo corsi di formazione mirati, sensibilizzando i dipendenti sul potenziale dell’IA e creando un ambiente di lavoro che favorisca l’innovazione.
Quindi, ti faccio una domanda diretta: cosa stai facendo tu, nella tua azienda, per preparare i tuoi collaboratori a questo cambiamento? Ti sei limitato a scaricare ChatGPT e a dire “fate voi”? Se la risposta è sì, perdona la brutalità, ti consiglio di cambiare registro.
LinkedIn suona la campana: l’IA è ormai una realtà in Europa
Se i dati di BCG non ti hanno convinto abbastanza, ecco un altro campanello d’allarme, questa volta da LinkedIn. Il loro report “AI in the EU: 2024 Trends and Insights” ha analizzato un miliardo di profili e i risultati sono inequivocabili: in Europa, il numero di professionisti con competenze in IA è più che raddoppiato dal 2016, con una crescita del 124%. Un boom clamoroso.
Ma aspetta a esultare. Fuori da LinkedIn, siamo ancora una nicchia: solo lo 0,41% della forza lavoro europea ha competenze in IA.
Il settore tecnologico è il primo attrattore, ma la crescita si fa sentire anche in finanza e nei servizi professionali, come si evince dal report di LinkedIn. La domanda a questo punto è: la tua azienda è pronta a questo trend?
Hai compreso che l’IA non è più un “nice to have”, ma un “must have”? Se la risposta è no, forse è il momento di svegliarsi.
L’Asia corre mentre l’Occidente insegue a fatica
E non è finita qui. Perché, come spesso accade, il mondo non è un blocco monolitico, ma un mosaico di culture e percezioni diverse. E lo stesso vale per l’IA. Infatti, osservando i dati del 2024, emerge un divario abissale tra l’Occidente e l’Asia.
Da un lato, Stati Uniti, Regno Unito e Canada, dove lo scetticismo nei confronti dell’IA è palpabile. Un esempio? Negli USA il 45% della popolazione esprime preoccupazioni sugli effetti dell’IA!
In pratica, qui l’IA è vista come uno strumento utile, ma difficilmente capace di creatività e ragionamento avanzato. Un po’ come se l’Occidente vedesse l’IA come un robot con le mani sporche di grasso, incapace di ragionamenti avanzati (niente di più sbagliato, come dovresti sapere!).
Dall’altra parte, in paesi come Cina e Vietnam, c’è un entusiasmo che sfiora l’idolatria. Il 90% della popolazione vede l’IA come una grande opportunità, un motore di progresso economico e tecnologico. Qui, l’IA non è un nemico, ma un alleato, con il pieno supporto dei governi. Il nome Deep Seek, ti dice nulla?
Una differenza di percezione legata a fattori economici e sociali: in Occidente si ha paura che l’IA tolga il lavoro, mentre in Asia si spera che ne crei di più. Un paradosso che dovrebbe farti riflettere.
L’IA crea (e distrugge) lavoro
E arriviamo a un punto dirimente: l’IA crea nuove opportunità di lavoro? Ti riporto questi numeri, poi dimmi tu…
Il tasso di assunzione di talenti IA è aumentato del 78% rispetto al 2016. Un boom che ci dice che la domanda di esperti in IA è in forte crescita. E dove crescono più velocemente le assunzioni? In Grecia (+263%), Portogallo (+193%) e Croazia (+178%), tre paesi che stanno puntando forte sull’innovazione, come puoi vedere tu stesso dal rapporto di LinkedIn.
Il settore tecnologico è ovviamente il principale datore di lavoro per i professionisti IA (16%), ma non solo: i servizi finanziari (8%), educazione (12%) e i servizi professionali (11%).
Insomma, l’intelligenza artificiale, come uno tsunami, sta travolgendo ogni settore senza fare sconti. E non ti ho ancora parlato di impiegati virtuali…
Impiegati virtuali, automazione e gender gap: le realtà che non puoi ignorare
E adesso, una cosa molto concreta: l’arrivo degli impiegati virtuali. Sì, la tua azienda potrebbe essere affiancata da colleghi fatti di algoritmi e codici. Sempre più aziende, soprattutto startup e piccole imprese, stanno introducendo sistemi di IA capaci di gestire flussi di lavoro in completa autonomia.
Questi assistenti virtuali possono occuparsi di mansioni amministrative, assistenza clienti, analisi dati e gestione delle comunicazioni, consentendo alle aziende di crescere più velocemente e con costi ridotti.
Ma questa medaglia ha anche un lato oscuro: l’automazione.
Il McKinsey Global Institute prevede che entro il 2030 il 30% delle ore lavorative negli Stati Uniti sarà automatizzato. Un dato che fa tremare i polsi. E i ruoli che si basano su compiti ripetitivi sono quelli più a rischio.
E attenzione, perché l’automazione non colpisce tutti allo stesso modo. Le donne, in particolare, sono risultate particolarmente vulnerabili all’impatto dell’IA, con una percentuale di posti di lavoro a rischio superiore rispetto agli uomini. Secondo un’analisi di Kenan Institute, l’80% delle posizioni lavorative ricoperte da donne è a rischio di automazione. Un dato inquietante che ci fa capire che la rivoluzione dell’IA rischia di accentuare le disuguaglianze di genere.
Solo il 26,3% dei professionisti AI in UE sono donne. E se le cose continuano così, ci vorranno 162 anni per raggiungere la parità di genere nel settore AI. Una situazione inaccettabile che dobbiamo cercare di cambiare. Fortunatamente, alcuni paesi come Romania (33,9%), Finlandia (33,8%) e Francia (32,0%) stanno cercando di fare meglio.
Ma ora veniamo a ciò che ci interessa. Come cambia il lavoro dei SEO con le IA generative?
Il futuro della SEO: oltre le keyword c’è di più!
L’intelligenza artificiale sta riscrivendo le regole del gioco, anche per noi SEO.
Non è una mia opinione, ma una realtà confermata da un recente sondaggio di Botify, autorevole piattaforma di marketing, che ha evidenziato come la maggior parte degli esperti di marketing stia diversificando le proprie strategie, non limitandosi più solo a Google ma volgendo il proprio sguardo anche YouTube (66%), ChatGPT (56%), Amazon (45%) e TikTok (40%).
Inoltre, il modo di misurare il successo nella ricerca sta cambiando: il 52% dei leader si concentra sulla presenza nei search snippet e nelle risposte AI, mentre il 27% si focalizza sulle conversioni piuttosto che sul click-through rate.
E non è tutto. Aleyda Solis, voce autorevole della comunità SEO, ci avverte che le SERP si stanno trasformando in veri e propri “marketplace”, con funzionalità sempre più personalizzate e ricche di informazioni.
Google si è essenzialmente trasformato in un marketplace. Con funzionalità come le barre laterali, i filtri di prodotto, i caroselli di prodotti e i pannelli informativi.
Aleyda Solis
Quindi, caro SEO, il tuo lavoro non è più quello di “cacciare” keyword e scalare classifiche. Ora il focus si sposta sulla presenza negli snippet e nelle risposte generate dall’IA, ovvero in quegli spazi che l’IA sfrutta per dare risposte dirette agli utenti, e sulla capacità di “convincere” gli algoritmi con contenuti di alta qualità, capaci di soddisfare le esigenze degli utenti, che sono la vera ossessione di Google per fidelizzare il proprio pubblico.
La tua missione dunque non è più solo ottimizzare per Google, ma diventare un vero e proprio stratega della visibilità online, capace di costruire un’esperienza utente memorabile e di allineare gli sforzi SEO agli obiettivi di business dei clienti. I professionisti SEO devono ora pensare e agire come marketers e product manager, come sostiene Aleyda Solis.
Se l’Italia dorme, tu fatti trovare pronto!
E allora, cosa ne facciamo di tutti questi dati? Li ignoriamo, come sembra fare la maggior parte del nostro Paese, oppure decidiamo di affrontare la realtà a testa alta? L’Intelligenza Artificiale non è una minaccia aliena da cui fuggire, ma una forza concreta che potrebbe dare al mercato del lavoro italiano quella spinta che gli manca!
Ignorarla, sottovalutarla, significa autoescludersi dalla partita, rimanere spettatori passivi di un cambiamento epocale.
Questo articolo, spero, ti abbia fornito gli strumenti per comprendere la portata di questa trasformazione, anche nel mio settore. Ti ho mostrato come, mentre il resto del mondo si prepara a cavalcare l’onda dell’IA, l’Italia sembra indugiare in un sonno profondo, pagando un prezzo altissimo in termini di opportunità perse e di crescita rallentata. Ma non è troppo tardi per invertire la rotta e affrontare il futuro del search marketing con la preparazione adeguata.
Non lasciare che l’IA ti travolga come uno tsunami, ma impara a sfruttarne le potenzialità, a trasformarla in un’alleata per il tuo business. Non accontentarti di subire il cambiamento e reagire d’istinto, ma anticipalo e fatti trovare pronto. Se vuoi sapere come, contatta ora la mia agenzia!
In Italia, l’IA nel mondo del lavoro è ancora sottovalutata: Domande & Risposte
Quanto è diffusa l’intelligenza artificiale tra i lavoratori italiani?
Secondo il Boston Consulting Group, solo il 21% dei lavoratori italiani utilizza strumenti di intelligenza artificiale nel proprio lavoro. Questo dato pone l’Italia tra gli ultimi Paesi in Europa per adozione dell’IA, segnalando una scarsa consapevolezza del suo impatto e delle opportunità offerte.
Quali sono i principali ostacoli all’adozione dell’IA nel mondo del lavoro italiano?
I principali ostacoli all’adozione dell’IA in Italia includono la resistenza culturale all’innovazione, la mancanza di incentivi istituzionali, la scarsa formazione dei lavoratori e un atteggiamento diffuso di sottovalutazione delle potenzialità della tecnologia. Inoltre, molte aziende faticano a integrare l’IA nei loro processi lavorativi in modo strutturato.
Come può il reskilling aiutare i lavoratori italiani a rimanere competitivi nell’era dell’IA?
Il reskilling è fondamentale per preparare i lavoratori italiani ai cambiamenti imposti dall’intelligenza artificiale. Il 63% dei lavoratori si dice disposto a seguire corsi di aggiornamento, ma è necessario un piano strutturato che coinvolga HR manager e istituzioni per fornire formazione adeguata, favorendo così un’adozione consapevole dell’IA e una maggiore competitività nel mercato del lavoro.
“Totalmente d’accordo, Roberto!”
“Ma dai, incredibile!”
“È ora di svegliarsi, ragazzi! Non vogliamo restare indietro!”
“Verissimo! L’Italia sembra davvero indietro su questo!”