Il processo contro Google in Virginia (spiegato bene)

Il processo contro Google, iniziato il 9 settembre 2024 ad Alexandria, in Virginia, vede il colosso tecnologico accusato di monopolio nel settore della pubblicità online dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.
Il DOJ, affiancato da una coalizione di stati, sostiene che Google abbia abusato del suo potere per schiacciare la concorrenza e danneggiare piccoli imprenditori e consumatori.
La corte, nota come "Rocket Docket" per la sua rapidità, si muove velocemente verso un verdetto che potrebbe costringere Google a smantellare parte del suo impero pubblicitario.

Il processo lampo sul monopolio della pubblicità rischia di costare a Google 100 miliardi di dollari (e non solo)

Come hai potuto leggere in questi mesi, ormai i processi per Google sono come le ciliegie: uno tira l’altro.

Uno dei più importanti è iniziato il 9 settembre 2024 ad Alexandria, in Virginia: quello sul monopolio della pubblicità online.

Non si tratta di un caso di poco conto: il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ), affiancato da una coalizione di stati, ha accusato Google di aver costruito un impero nella tecnologia pubblicitaria, schiacciando la concorrenza e danneggiando piccoli imprenditori, inserzionisti e consumatori.

Circostanza confermate il 10 settembre 2024 dalla Corte di Giustizia Europea che ha condannato Big G al pagamento di 2,4 miliardi di euro per comportamenti monopolistici.

La posta in gioco in questo caso è altissima: il governo americano chiede addirittura che Google venga smembrata, costringendola a vendere alcuni dei suoi asset principali (come Chrome e Android).

In quest’articolo ti porterò all’interno dell’aula giudiziaria, tenterò di farti vivere il processo del secolo, riportandoti i passi più avvincenti e le testimonianze più inattese.

Se ti piacciono i thriller alla John Grisham, o anche se solo lavori sul web e utilizzi i servizi di Google, questo è l’articolo che fa per te.

Google e il controllo del mercato pubblicitario (la storia iniziò nel 2008…)

Per comprendere questo caso, bisogna partire dall’inizio, o quasi. Il DOJ sostiene che Google abbia iniziato a costruire il proprio dominio pubblicitario a partire dal 2008, quando acquisì DoubleClick per 3,1 miliardi di dollari. DoubleClick, per chi non lo sapesse, è un’azienda che si occupava di fornire software per gestire la pubblicità online.

Grazie a questa acquisizione, Google ha ottenuto due strumenti fondamentali:

uno per i publisher, ovvero coloro che vendono spazi pubblicitari sui loro siti, e uno per gestire le aste pubblicitarie in tempo reale tra inserzionisti e publisher.

In pratica, DoubleClick ha permesso a Google di diventare un intermediario essenziale in ogni transazione pubblicitaria online.

Da allora, la presa di Google sul mercato è cresciuta esponenzialmente. Secondo i dati presentati in tribunale, Google oggi controlla l’87% del mercato degli strumenti pubblicitari per i publisher, come riporta Bloomberg, il che significa che quasi tutti i siti web che vendono spazi pubblicitari online utilizzano la tecnologia made in Mountain View.

Durante il processo è emerso che la sua piattaforma pubblicitaria, nota come Google Ad Manager (GAM), gestisce ogni giorno 13 miliardi di annunci display, ovvero cinque trilioni all’anno, ma non solo, pensa che otto inserzionisti su dieci si affidano alla tecnologia pubblicitaria di Big G, così come nove publisher su dieci!

fonte Statista ricavi google 2024 dal 2008

Per dare un’idea della portata di questo monopolio, News Corp, uno dei più grandi gruppi editoriali al mondo, genera l’80% dei suoi ricavi pubblicitari tramite GAM. Ricky Sutton, giornalista esperto di questioni tecnologiche, lo spiega bene in questo suo articolo.

La velocità del “Rocket Docket” (il tribunale più veloce del West!)

Uno degli aspetti interessanti di questo processo è proprio la sua sede: la U.S. District Court per il Distretto Orientale della Virginia, famosa per essere un tribunale incredibilmente rapido nel gestire i casi complessi.

Non a caso viene soprannominata il “Rocket Docket”, per la sua capacità di muoversi a una velocità inusuale rispetto ad altre giurisdizioni, come puoi leggere in questo articolo del Washington Post.

Il fatto che il caso di Google si stia svolgendo qui ha messo ulteriore pressione all’azienda, che deve rispondere in tempi stretti alle accuse del DOJ.

Insomma, se ti aspettavi un processo lento, sei sulla cattiva strada, dato che la corte di Alexandria ha la reputazione di prendere decisioni rapide, spesso entro un anno dalla presentazione delle accuse.

Ma sai la cosa curiosa? Anche a Mountain View hanno l’interesse che la causa si risolva in tempi rapidi, proprio per questo Google ha sborsato 2,3 milioni di dollari per evitare la giuria popolare e passare direttamente al processo.

A questo punto ti starai chiedendo: quali sono le accuse del Dipartimento di Giustizia USA nel concreto?

Non temere, te le elencherò nel prossimo paragrafo.

Le accuse del Dipartimento di Giustizia (spiegate bene)

Il DOJ, rappresentato dall’avvocato Julia Tarver Wood, ha argomentato che Google ha usato la sua posizione dominante per manipolare il mercato e mantenere il proprio monopolio.

Monopolio accertato dalla nota condanna del 5 agosto 2024 sempre negli USA, tra l’altro.

Un esempio emblematico? Google addebitava ai publisher una commissione del 20% sulle aste pubblicitarie gestite tramite il suo sistema.

Immagino ti stia chiedendo come funzionasse; è presto detto:

Secondo l’accusa, Big G forniva l’accesso a un’enorme base di inserzionisti, e chi voleva accedere a quel mercato doveva necessariamente passare per i suoi strumenti.

In altre parole, la società di Mountain View creava la domanda e, allo stesso tempo, offriva l’unico modo per soddisfarla!

Non solo: il DOJ ha presentato prove che dimostrano come Google abbia deliberatamente manipolato le regole delle aste pubblicitarie a proprio vantaggio. In alcuni casi, avrebbe dato priorità a sé stessa quando i publisher confrontavano le offerte provenienti da diversi sistemi d’asta, costringendo i concorrenti a giocare secondo regole che, di fatto, favorivano sempre Google.

Durante il processo, è emerso anche come Big G abbia ostacolato la concorrenza rendendo difficile per i publisher l’utilizzo di sistemi pubblicitari diversi dal suo.

Ma qual è stata la strategia difensiva di Big G?

La strenua difesa di Google (stile Marchese del Grillo)

Google, ovviamente, non è rimasta in silenzio.

L’azienda ha risposto con forza alle accuse, sostenendo che il mercato della pubblicità online è altamente competitivo e che il DOJ sta deliberatamente ignorando concorrenti come Facebook e Amazon per far sembrare la situazione peggiore di quanto sia.

fonte Spark Toro google e competitor 2024

In aula, uno dei dirigenti di Google, Neal Mohan, ora CEO di YouTube, ha negato qualsiasi strategia volta a eliminare la concorrenza. Mohan ha spiegato che l’acquisizione di aziende come DoubleClick e AdMeld (un’altra acquisizione da 400 milioni di dollari nel 2011) era necessaria per evitare che Google restasse indietro rispetto a concorrenti come Yahoo e Microsoft, allora leader del mercato.

Mohan ha anche negato l’accusa di “killer acquisition”, cioè l’idea che Google avesse acquistato aziende solo per eliminarle.

Un esempio portato dal DOJ però ha prontamente smentito la difesa e riguardava proprio AdMeld: Google infatti comprò l’azienda, integrando la sua tecnologia nella propria piattaforma, per poi chiuderla due anni dopo!

Secondo l’accusa, questo dimostra che Google ha eliminato un concorrente potenziale, mentre Mohan ha sostenuto che l’acquisizione era semplicemente una mossa per migliorare l’efficienza della propria tecnologia.

Devo confessartelo, durante il processo, a leggere le cronache, in alcuni momenti, Big G ha fatto un po’ la figura del Marchese del Grillo; ricordi il celebre motto del film con Alberto Sordi? “Io so’ io, e voi non siete un BIP!” Non proprio una tattica per guadagnare la fiducia dei magistrati, non credi?

Una strategia rischiosa: chat e email “confidenziali”

Un altro punto rilevante del processo riguarda il modo in cui Google ha gestito le comunicazioni interne durante le indagini. Secondo il DOJ, i dipendenti di Google avrebbero abusato delle etichette “privileged and confidential” per proteggere le loro conversazioni da potenziali indagini.

Brad Bender, ex dirigente di Google nel settore dell’ad tech, ha testimoniato che le conversazioni con i colleghi su questo tema spesso avvenivano tramite chat aziendali in cui la cronologia veniva disattivata, per evitare che venissero conservate prove che potessero compromettere l’azienda.

Documenti presentati in aula mostrano che spesso, nelle email e nelle chat interne, i dipendenti discutevano di questioni aziendali riservate, includendo talvolta avvocati per proteggere legalmente quelle conversazioni.

Anche Chris LaSala, ex dirigente di Google nel settore pubblicitario, ha ammesso che una delle strategie adottate era quella di utilizzare le chat con la cronologia disattivata, una pratica comune tra i dipendenti di Google. In una chat del 2020, LaSala aveva istruito un collega a evitare l’uso delle email e a “tenere la cronologia disattivata”.

Tuttavia, questa strategia rischia di ritorcersi contro Big G. Il giudice potrebbe arrivare a una “inference negativa”, cioè presupporre che le prove mancanti avrebbero potuto danneggiare il caso di Google.

Ti ricordo infatti che già in un precedente processo antitrust, il giudice aveva criticato Google per non aver conservato alcune chat rilevanti, avvertendo che, in futuro, l’azienda avrebbe potuto subire conseguenze più gravi per comportamenti simili.

Il ruolo di Facebook e l’accordo Jedi Blue

Ma non è finita qui. Il processo ha sollevato anche un altro episodio controverso: un accordo tra Google e Facebook siglato nel 2018, soprannominato “Jedi Blue“.

L’accordo, secondo quanto emerso in tribunale, avrebbe dato alla società di Mark Zuckerberg un trattamento preferenziale nelle aste pubblicitarie gestite da Google in cambio del ritiro di Facebook dal supporto di una tecnologia chiamata “header bidding”, che minacciava il dominio di Big G.

Se ti stai chiedendo cosa si intende per Header bidding è più semplice di quanto pensi:

si tratta di una tecnologia che permette ai publisher di vendere i loro spazi pubblicitari online tramite un’asta aperta a più piattaforme contemporaneamente, aumentando la competizione tra inserzionisti.

In questo modo, gli spazi pubblicitari vengono offerti a diversi network, e l’offerta più alta vince, garantendo al publisher un miglior guadagno. Questo sistema è stato creato per contrastare il monopolio di Google, che in passato gestiva la maggior parte delle aste pubblicitarie attraverso la sua piattaforma.

Brian Boland, ex dirigente di Facebook, ha testimoniato che Facebook aveva inizialmente cercato di competere con Google nel mercato degli annunci display, ma si era presto resa conto che non avrebbe avuto alcuna possibilità di successo a causa della posizione dominante di Google. L’accordo fu negoziato personalmente da Mark Zuckerberg e Sundar Pichai, CEO di Google.

Il DOJ ha cercato di utilizzare questo accordo per dimostrare che persino un colosso come Facebook ha dovuto fare i conti con il potere di Google, ma l’accusa di violazione delle leggi antitrust legata a Jedi Blue è già stata respinta da un giudice di New York nel 2020, come scrive il New York Times. Tuttavia, l’accordo rimane un elemento chiave nel tentativo del DOJ di dimostrare come Google abbia sistematicamente eliminato o cooptato la concorrenza.

fonte Statista 2008 2023 alphabet google e competitor

Le testimonianze più avvincenti del processo

Durante il processo hanno sfilato molti competitor di Big G che hanno illustrato le pratiche presumibilmente anticoncorrenziali del colosso di Mountain View.

Ecco gli highlights, le dichiarazioni salienti, proferite durante il dibattimento:

10 settembre 2024: il secondo giorno del processo (quello delle pratiche “idiote”)

Tra questi, Stephanie Layser, ex dirigente di News Corp, che il 10 settembre, ha descritto la sensazione di blocco vissuta dai publisher a causa degli strumenti pubblicitari di Google.

Nel 2017, News Corp voleva cambiare server pubblicitari, ma il rischio di perdita di entrate era troppo alto. Il 40-60% del fatturato di News Corp proveniva da AdX, e di questo, il 40-60% era generato dalla domanda pubblicitaria di Google. Layser ha sottolineato come la tecnologia dei server pubblicitari di Google, pur essendo obsoleta, fosse indispensabile per la mancanza di alternative competitive.

Sempre lo stesso giorno, Jay Friedman, CEO del gruppo Goodway, ha criticato le pratiche di prezzo variabile di Google, descrivendole come una manipolazione del sistema. Ha sottolineato il conflitto di interesse insito nel controllo da parte di Google sia del lato vendita che del lato acquisto del mercato pubblicitario.

Per chiudere in bellezza, l’ex VP di ingegneria di Google, Eisar Lipkovitz, non ci è andato tenero, definendo le pratiche interne di Google come “idiote” e affermando che l’azienda manca di trasparenza.

11 settembre 2024: terzo giorno del processo (tutto sul First Look)

Il terzo giorno del processo, l’11 settembre 2024, Jed Dederick, dirigente di Trade Desk, ha messo in evidenza come il controllo di Google su enormi quantità di dati degli utenti, provenienti da YouTube e dal motore di ricerca, gli dia un vantaggio competitivo sproporzionato. Questo dominio rende difficile per altri player del settore prosperare.

Il professor Ravi Ramamoorthi della UC San Diego ha testimoniato sull’impatto negativo delle pratiche di Google come “First Look” e “Dynamic Revenue Share”, che hanno danneggiato i publisher a favore di Google, restringendo ulteriormente il campo della concorrenza.

Il Dynamic Revenue Share è una pratica utilizzata nel settore della pubblicità online, in cui la percentuale di guadagno che una piattaforma trattiene da una transazione pubblicitaria può variare dinamicamente a seconda di diversi fattori, come la domanda, il tipo di annuncio o l’accordo con il publisher.

Invece di trattenere una commissione fissa sugli annunci venduti tramite la propria piattaforma, Google (o altre piattaforme) possono modificare la percentuale che trattengono, adattandola per massimizzare i profitti o per incentivare certi tipi di transazioni pubblicitarie. Ovviamente ciò si rivela vantaggioso per la piattaforma, ma non per i publisher, che non sempre sanno esattamente quale percentuale di ricavi perderanno in una determinata asta pubblicitaria.

First Look è una pratica pubblicitaria in cui una piattaforma o un inserzionista ha la possibilità di vedere e acquistare per primo uno spazio pubblicitario, prima che venga offerto ad altri partecipanti a un’asta pubblicitaria. In altre parole, chi ha accesso al First Look può fare un’offerta per lo spazio pubblicitario prima che questo venga messo all’asta aperta, garantendosi un vantaggio competitivo.

Nel processo Google è accusata di riservare per sé o per i suoi partner migliori opportunità pubblicitarie, limitando la concorrenza e riducendo le entrate potenziali per i publisher, poiché gli spazi più preziosi vengono venduti prima che altri inserzionisti possano fare un’offerta.

12 settembre: quarto giorno (il breve rimorso di coscienza)

Rahul Srinivasan, ex Product Manager di Google, ha spiegato come il passaggio al modello di asta di primo prezzo nel 2019, noto come Unified Pricing Rules (UPR), fosse stato concepito per mantenere il controllo sui prezzi pubblicitari, nonostante la forte opposizione dei publisher. Le email interne mostrate in tribunale hanno rivelato che Google aveva valutato la possibilità di abbassare le proprie commissioni per placare i timori dei publisher, ma alla fine ha deciso di mantenere il controllo con UPR.

Ecco, queste alcune delle testimonianze più avvincenti al processo. Ma se ti stai appassionando, puoi seguirlo come fosse una serie TV, a questo sito, che fa la cronaca puntuale e precisa, giorno per giorno di tutto ciò che accade in aula.

Le possibili conseguenze di un’altra condanna di Big G (e l’impatto sul tuo business)

Eccoci arrivati al termine di questa lunga panoramica sul processo contro Google, grazie per aver avuto la pazienza di seguirmi fino a qui, ho voluto essere più dettagliato e chiaro possibile, proprio data la rilevanza della questione, mi auguro di essere stato avvincente!

Sì, perché il processo sul presunto monopolio della pubblicità di Google durerà ancora diverse settimane, e la decisione finale del giudice Leonie Brinkema potrebbe avere conseguenze enormi: l’azienda potrebbe essere costretta a vendere alcune delle sue attività, ridisegnando completamente il panorama della pubblicità online.

fonte Statista proiezione ads da 2020 a 2028

Questo processo, che procede a ritmo serrato nel “Rocket Docket”, potrebbe riservare ulteriori sorprese ed essere davvero rischioso per Big G e il mercato della pubblicità online. Pensa che se il DOJ dovesse vincere, Google potrebbe dover affrontare fino a 100 miliardi di dollari in cause legali da parte degli inserzionisti, come stimato dagli analisti di Bernstein, società di ricerca e investimenti.

Capisci bene che, per chi, come te, gestisce un sito web o si affida alla pubblicità digitale per promuovere la propria attività, questo processo potrebbe segnare un punto di svolta.

Se Google venisse smembrata (e perdesse Android o Chrome), nuove opportunità potrebbero emergere, ma potrebbe anche esserci maggiore complessità nella gestione delle campagne pubblicitarie (oppure Big G potrebbe rivalersi sugli utenti per fare cassa). In ogni caso, il risultato di questo processo potrebbe avere effetti mica da ridere, specie dopo la condanna per monopolio del 5 agosto 2024: l’intero ecosistema pubblicitario, che oggi ruota attorno a Google, potrebbe cambiare sul serio.

Per questo motivo, promuovere la tua azienda, affidandoti esclusivamente ad ADS, potrebbe essere limitante oltre che rischioso.

Io, dal canto mio, prometto di tenerti aggiornato su tutte le novità come sempre.

Takeaways

  • Dal 2008, con l’acquisizione di DoubleClick per 3,1 miliardi di dollari, Google ha consolidato la sua posizione di leader nel settore degli strumenti pubblicitari, controllando oggi l’87% del mercato pubblicitario per i publisher, come evidenziato durante il processo.
  • Il processo si svolge nella U.S. District Court in Virginia, nota per la sua rapidità, soprannominata “Rocket Docket”. Google è sotto pressione, con la necessità di rispondere rapidamente alle accuse del DOJ, con potenziali conseguenze che includono lo smembramento di alcune delle sue attività principali.
  • Google è accusata di sfruttare la propria posizione dominante per manipolare le aste pubblicitarie a proprio vantaggio, imponendo commissioni del 20% ai publisher e limitando l’uso di sistemi alternativi, consolidando così il proprio monopolio.
  • Google nega le accuse, affermando che il mercato pubblicitario è competitivo e citando concorrenti come Facebook e Amazon. Tuttavia, le prove in aula dimostrano come abbia utilizzato pratiche come l’acquisizione di AdMeld per eliminare la concorrenza e rafforzare la propria posizione.
  • Se Google venisse condannata, il DOJ potrebbe richiedere lo smembramento dell’azienda, con impatti significativi sull’intero ecosistema della pubblicità digitale. Questo potrebbe aprire nuove opportunità per i concorrenti, ma anche complicare la gestione delle campagne pubblicitarie per gli inserzionisti.

FAQ

Qual è l’obiettivo del processo contro Google iniziato a settembre 2024?

Il processo, iniziato il 9 settembre 2024 ad Alexandria, in Virginia, ha l’obiettivo di accertare se Google abbia abusato della sua posizione dominante nel mercato della pubblicità online, danneggiando piccoli imprenditori, inserzionisti e consumatori.

Perché Google è accusata di monopolio nella pubblicità online?

Google è accusata di aver manipolato il mercato pubblicitario attraverso acquisizioni strategiche come DoubleClick, controllando l’87% degli strumenti pubblicitari per i publisher e gestendo 13 miliardi di annunci al giorno.

Quali potrebbero essere le conseguenze per Google se venisse condannata?

Se Google venisse condannata, potrebbe essere costretta a vendere alcune delle sue attività principali, come Chrome o Android, ridisegnando l’intero panorama della pubblicità online.

Roberto Serra

Mi chiamo Roberto Serra e sono un digital marketer con una forte passione per la SEO: Mi occupo di posizionamento sui motori di ricerca, strategia digitale e creazione di contenuti.

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